Se fossero vere, come temo, le “tasche piene” attribuite dal Corriere della Sera a Mario Draghi in una “conversazione” con Antonio Tajani, che non ha smentito, ci sarebbe quanto meno da comprendere, se non si volesse proprio condividerla, l’insofferenza del presidente del Consiglio. Che in un incontro chiesto e ottenuto con urgenza al Quirinale dopo il rifiuto dei grillini di approvare alla Camera il cosiddetto decreto aiuti, pur avendo accordato giorni fa la fiducia posta dal governo sull’articolato, è stato incoraggiato da Sergio Mattarella a resistere alla tentazione delle dimissioni. Che tuttavia il capo dello Stato avrebbe riconosciuto ragionevoli nel caso in cui al Senato i grillini rifiutassero, non partecipando al voto, anche la fiducia oltre all’approvazione del provvedimento, abbinate per regolamento a Palazzo Madama diversamente da Montecitorio.

Pur avendo riconosciuto la “serietà” di Draghi nell’essersi preso del tempo per rispondere - entro luglio, concordarono- alle richieste di “discontinuità” e “cambiamento di marcia” contenute in un documento in nove punti consegnatogli a Palazzo Chigi, Giuseppe Conte ha sorpreso il presidente del Consiglio tollerando o addirittura fomentando una certa guerriglia contro il governo in Parlamento. E, non chiedendo direttamente ma facendogli arrivare per vie traverse, compresi i giornali, interventi e segnali anticipatori di una risposta positiva al contenzioso.

Ma quello che mi risulta avere maggiormente infastidito, o riempito “le tasche” di Draghi è stato il malessere che, volente o nolente, Conte ha provocato nel mondo sindacale con la sua corsa praticamente a sinistra. E ciò proprio mentre il presidente del Consiglio preparava l’incontro con i sindacati per spianare la strada all’azione di governo, e alle nuove misure di alleggerimento sociale che si stanno studiando tra Palazzo Chigi, Ministero dell’Economia, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero del Lavoro e anche Ministero della transizione ecologica, retto peraltro da un tecnico - il fisico Roberto Cingolani - che sotto le cinque stelle, o ciò che n’è rimasto dopo la scissione di Luigi Di Maio, viene sempre più considerato dai grillini un nemico. “Cingolani è da cacciare”, titolava ieri il Fatto Quotidiano a pagina 11 un articolo di Antonio Rizzo con rigoroso e compiaciuto richiamo in prima.

L’ultima cosa di cui il governo delle emergenze, ora anche sociale, com’è quello guidato da Draghi, aveva bisogno era ed è certamente una concorrenza di Conte col segretario generale della Cgil Maurizio Landini, pur dopo il riconoscimento della essenzialità della parte del movimento che gli è rimasta.

Se sarà comunque verifica quella che aspetta il governo, ma più in generale il Paese, e che è stata formalmente sollecitata nella maggioranza da Silvio Berlusconi, condivisa da Matteo Salvini e un po' derisa nel centrodestra dall’oppositrice Giorgia Meloni, essa per fortuna non sarà quella anomala adombrata su qualche giornale attribuendone la gestione al presidente della Repubblica. Che, per quanto paziente e volenteroso, e anche lui preoccupato per una crisi di governo in mezzo a tante altre crisi, di carattere interno e internazionale, non sembra proprio avere la voglia di addossarsi anche un compito del genere, sempre affidato nella lunga storia della Repubblica al presidente del Consiglio. Lo si è capito bene dalla cronaca dell’incontro di ieri di Mattarella con Draghi fatta sul Corriere della Sera dal quirinalista principe Marzio Breda.

Se sarà crisi a causa delle dimissioni di Draghi con le tasche rotte a quel punto come le scatole, e non solo piene, Mattarella lo rinvierà alle Camere per verificare nel modo più trasparente possibile se e di quale maggioranza porrebbe ancora disporre. Il guaio - altra ragione, credo, dell’anomalia di questa conclusione della legislatura più pazza del mondo, com’è stata più volte definita- è che, non facendo parte del Parlamento, Giuseppe Conte non potrà partecipare alla discussione. E non è detto, francamente, che i capigruppo siano davvero in grado di rappresentarne la linea, se ne esiste davvero una, tale e tanta è la confusione esistente fra i deputati e i senatori di un movimento la cui scissione non è ancora completata.