IL RETROSCENA

Se si dovrà in futuro rintracciare l'episodio di una crisi di questa maggioranza che forse diventerà crisi di governo e forse no ma costituisce comunque una minaccia ben più corposa del voto sul Mes, perché meno peregrina ed episodica ma cronica e strutturale, quel momento di rottura verrà identificato nel “colloquio informale” con il premier uscito alla fine di novembre sul Corriere della Sera, poi burocraticamente smentito naturalmente senza convincere nessuno. In quel colloquio Conte prendeva apertamente di mira Renzi.

Con allusioni esplicite, «Non possiamo rincorrere le ambizioni di qualcuno che spera in ruolo più importanti», ma anche chiamandolo direttamente in causa e indicandolo come il capofila del «partito del rimpasto» perché «avendo fondato un partito nuovo non ha ottenuto i risultati che sperava». Era una dichiarazione di guerra e come tale Renzi la ha presa, moltiplicando da quel momento il volume di fuoco pur sapendo di mettere così un governo già fragilissimo a massimo rischio.

La mossa goffa e sbagliata del premier va inquadrata nel contesto complessivo, nel quale figurano certamente ambizioni personali e dei singoli partiti, come sempre in questi casi, ma che non si riduce affatto a questo. Nella maggioranza è in corso da mesi uno scontro di potere che, lasciato covare sotto la cenere e mai affrontato, è diventato chiaro ed estremo quando in ballo è entrata la gestione dei fondi del piano Next Generation Eu, il Recovery Plan italiano: una faccenda dalla quale dipende la sorte dell'Italia nei prossimi vent'anni. Sin dalla nascita del suo secondo governo e più che mai dopo l'inizio della crisi Covid Conte ha cercato con successo di concentrare nelle proprie mani tutti i poteri decisionali, riducendo al minimo il ruolo del Parlamento, della maggioranza, dello stesso governo fatta salva una ristrettissima cerchia di ministri direttamente coinvolti nell'emergenza, come Gualtieri Speranza e Amendola. Il risultato è stato un crescente malumore in tutti i partiti della maggioranza, che alla fine si è esteso anche a un'ampia area del M5S. La scelta di centralizzare la tolda di comando anche sul Recovery Plan, con la formula della maxi task force guidata da palazzo Chigi, non poteva che portare quelle tensioni al punto di esplosione.

L'obiettivo di fondo del rimpasto invocato da Renzi ad alta voce ma al quale mirano anche il Pd e Di Maio era proprio ridimensionare il ruolo e il potere di Conte.

Il premier ha deciso di riproporre, in questo scontro ormai diretto, la strategia usata nel conflitto con Salvini ai tempi del suo primo governo.

Da un lato dividere la maggioranza additando il capo di Iv e Di Maio come artefici del complotto ma elogiando il Pd. Dall'altro mettendo in scena un confronto esplicito ma secondo una sceneggiatura che vedeva Renzi nella parte dell'ambizioso pronto a tutto e lo stesso Conte come il paladino di scelte fatte invece solo nell'interesse del Paese.

Non è stata una scelta felice.

Troppe le differenze da allora.

Prima di tutto Renzi è personaggio molto diverso da Salvini, meno goffo, più astuto ma anche pronto a giocare d'azzardo fino all'ultimo. Poi, nonostante le differenze profondissime, in questo momento i tre leader principali della maggioranza condividono l'interesse nel circoscrivere il ruolo di Conte.

Infine stavolta non c'è all'orizzonte nessuna maggioranza alternativa possibile che non passi per la sostituzione del premier, e anche in quel caso con poche probabilità di successo.

Questa è la vera minaccia che Conte dovrà affrontare subito dopo l'approvazione della legge di bilancio. Quelle degli ultimi giorni sono solo le avvisaglie di uno scontro che potrebbe implicare un'esplosione dalle conseguenze non calcolabili.

La strada scelta da Conte, quella dello scontro frontale con denuncia pubblica di fronte al Paese delle responsabilità del reprobo di turno, è la peggiore possibile, nelle circostanze date e avendo di fronte un leader come Renzi, che non ha nulla da perdere e che, isolato in apparenza, è in realtà sostenuto con la dovuta discrezione sia dal Pd che dal M5S area Di Maio. Se entro il brindisi di capodanno non avrà trovato un'altra strada per affrontare una crisi della maggioranza che, senza la crisi Covid, sarebbe senza speranza ma anche così è più che minacciosa i primi mesi del 2021, per il governo, saranno come l'uragano Katrina.