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Nella foto Ursula von der leyen e Roberta Metsola
Il Partito popolare ha deciso: il tandem von der Leyen- Metsola non si cambia. Riproporrà la prima per la presidenza della Commissione, la seconda per quella dell'europarlamento. La candidata è già lanciatissima. Da un lato promette di costruire «un bastione» contro la destra, anzi le destre: quella di Identità ma anche quella della sua amica, o ex amica, Giorgia Meloni, i Conservatori. Dall'altro leva alta l'ascia di guerra: «Non possiamo permettere che Putin schiacci Kiev». Promette dunque di avviare entro questo mese i colloqui per l'adesione dell'Ucraina alla Ue e di stanziare in luglio 1,5 miliardi di extraprofitti delle banche russe per gli aiuti militari a Kiev.
Sulla carta la presidente uscente non ha bisogno di nessuno: la maggioranza che porta il suo nome, composta da Popolari, Socialisti e Liberali, ha 40 voti di margine sui 361 necessari.
Strasburgo però è una brutta e infida bestia, tanto più dato che il voto è segreto. Una pattuglia non si sa quanto nutrita di franchi- tiratori la si può dare per certa. Anche così la maggioranza dovrebbe essere blindata grazie al sostegno dei Verdi, che si sono già detti disponibili. I problemi non sono sul fronte dei numeri, dunque, ma su quello della politica.
La partita, prima e più che a Strasburgo, si giocherà nel Consiglio europeo: è l'assemblea dei capi di governo che deve indicare e sottoporre poi al voto dell'europarlamento il candidato. Le trattative e i probabili scontri saranno in quella sede. Tra i nodi politici il principale riguarda la posizione nei confronti della destra che avanza in tutta l'Unione. Il cancelliere tedesco Scholz ha già fatto sapere di non volerne sapere: deve restare fuori dalla maggioranza tutta, anche quella più potabile dei Conservatori. Insomma Giorgia Meloni deve restare fuori dalla porta. I Liberali di Renew la pensano allo stesso modo. Il Ppe no.
«Siamo in prima linea nel difendere l'Europa contro i nazisti dell'AfD», parte duro il presidente del Ppe Weber. Ma quando si arriva all'Italia stempera e spalanca le porte. «Qualche settimana fa abbiamo avuto il voto sulle migrazioni, senza il quale la destra estrema sarebbe cresciuta anche di più. I Verdi non hanno accettato quel compromesso. I Conservatori, in Italia e in Polonia, lo hanno supportato. Quindi voglio invitare tutti quelli che sono pronti a raggiungere qualcosa». Il partito che Scholz vuole mettere al bando e Weber invitare, FdI, non si espone. Sul voto a favore di von der Leyen rinvia la decisione: «Verificheremo se votarla», dice il ministro Sangiuliano. La premier chiarisce solo che nella vicenda l'Italia intende giocare un ruolo da protagonista e non da spettatrice.
Con tutti che tengono le carte ben coperte e dichiarazioni stentoree che vanno però prese con le pinze non è facile orientarsi nel labirinto di Bruxelles: All'angolo nell'europarlamento, la premier italiana sa di partire da un posizione di forza nel consiglio. Non solo guida il solo governo che non sia uscito pesantemente ammaccato dalle elezioni ma il suo è anche il solo governo, tra quelli dei Paesi principali, al quale partecipino i Popolari. Capita infatti che il Ppe, di gran lunga il partito più forte a Strasburgo ma con 11 capi di governo anche nel Consiglio, non sia alla guida di nessuno dei quattro Paesi principali: Germania, Francia, Italia e Spagna. In Italia però il Ppe fa parte del governo e un suo alto esponente, Tajani, è vicepremier. I capi di governo inoltre sanno perfettamente che, nel quadro creato dalle elezioni, governare l'Europa contro le due destra in grado di fare massa sarebbe certamente sconsigliabile e forse impossibile. La presidente di FdI e dei Conservatori, inoltre, non ha alcun interesse a entrare in una maggioranza, ammesso che questa definizione abbia un senso in Europa dove il voto di fiducia non esiste. Quanto al voto sulla presidenza, nessuno può impedire a chicchessia di votare come vuole.
Inutile quindi aspettarsi una trattativa trasparente, alla luce del sole. Al contrario, la premier cercherà di ottenere quanto più possibile nelle scelte del commissariato da assegnare all'Italia e delle deleghe affidate a quel commissario. Su questa base proverà a concordare il voto per la presidenza, a maggior ragione se a essere votata sarà la sua amica von der Leyen, le cui stentoree dichiarazioni anti- destra vanno prese per quel che valgono e, almeno del caso di Giorgia, non è molto. Se la trattativa andrà in porto tutti, con ipocrisia bi- partisan, assicureranno che la destra italiana è comunque fuori dalla maggioranza: con piena soddisfazione sia di Meloni che di Scholz e Macron. Le cose cambierebbero se il tedesco e il francese riuscissero a imporre un candidato alternativo alla presidente uscente e davvero invotabile per i Conservatori dell'Italia e della Polonia. Ma freschi di pesantissima batosta elettorale e dovendo fare i conti con la guerra in Ucraina è difficile che ne abbiano la forza.