Mai dimenticare che le capacità negoziali del padre fondatore Umberto Bossi erano tali da ammettere a distanza di anni dalla proclamazione della cosiddetta “Repubblica padana”: «Io lanciai la secessione per ottenere la devoluzione. Perché se nessuno ti ascolta qui devi fare solo un gran casino». Poi, andò come andò, con un referendum bocciato a livello nazionale, ma vincente al Nord. La Lega di oggi, quella vincente di Matteo Salvini ha varcato il limite geografico e politico, soprattutto, del “Dio Po”. Ma le primitive e strutturate capacità negoziali restano le stesse e anzi si sono affinate con un pacchetto di voti superiore e crescente nei sondaggi ma anche nelle recenti elezioni del Friuli e della Valle D’Aosta.

Per cui logico pensare che i Cinque Stelle, forza di maggioranza relativa, nel governo giallo- verde ( non a caso ancora definito con lo stesso colore delle origini, perché l’impatto suona sempre ancora più simbolico del nuovo blu salviniano) avranno a che fare con l’osso duro leghista. Con tutte le debite differenze del caso, stavolta nelle vesti di un nuovo Craxi sparigliatore con la Dc degli anni ’ 80. E quindi se chiedi a qualche esegeta leghista se davvero è nato il cosiddetto “Pup” ( partito unico populista Legastellato o Pentalegato a seconda dei punti di vista su chi dominerà realmente l’esecutivo) ti guardano in modo strano e ti dicono: «Tutte c... ate di voi giornalisti. Ma davvero, davvero pensate che noi, con la nostra classe di amministratori e i modelli del buon governo a livello locale da più di vent’anni c’entriamo qualcosa con questi impreparati? No, il piano è un altro; un piano win win per la Lega e il centrodestra».

Sarebbe a dire? «O ricostruire il centrodestra in parlamento ( come anticipato dal Il Dubbio dieci di giorni fa ndr), oppure elezioni, dove noi cresciamo e i grillini vanno giù. Perché le cose messe così non potranno durare più di cinque o sei mesi. I nodi veri verranno quando quelli ( i grillini ndr) incominceranno a urlare contro la Tav e le infrastrutture che per noi al Nord sono il pane».

E a quel punto o scatta il piano A o il piano B. Che sempre alla ricomposizione del centrodestra portano. Quello A è una composizione della maggioranza di governo, con un numero consistente di parlamentari che passano al gruppo misto, maionese impazzita, con Forza Italia e Fratelli d’Italia che a quel punto tornano a far parte di una compagine governativa che con tutti i numeri del caso potrà indicare a quel punto Salvini premier.

Il piano B è quello di nuove elezioni a questo punto non prima di febbraio ma che riporterebbero sempre alla stessa casella d’origine di questa sorta di gioco dell’oca, con un centrodestra vincente, a trazione leghista, e con una Forza Italia comunque rinfrancata dalla candidabilità di Silvio Berlusconi. Non è inverosimile pensare che Salvini l’altro ieri in quella manciata di minuti di colloquio a Montecitorio, a tu per tu, abbia riassunto tutto ciò così al Cav: «Silvio, lasciami fare, perché io sto lì per fare in modo che vengano strappate il più possibile le richieste della Lega e del centrodestra, non strappiamo il filo, perché non conviene a te ma neanche a me». E “Silvio”, che praticamente la Lega la “costituzionalizzò” incanalandone il secessionismo nel federalismo, che era la vera richiesta bossiana, quel “Silvio”, al quale ancora oggi i leghisti danno atto di essere «più lucido e duraturo di tanti altri», perché «il Cav un pirla certo non è, non offendiamo!» ( detto con ruvido linguaggio padano ndr) avrebbe ascoltato attento. A questo colloquio, succeduto ad altri che i due leader avrebbero avuto anche attraverso il pontiere storico tra Via Bellerio e Arcore, il numero due di Salvini Giancarlo Giorgetti, è seguito il “significativo silenzio” di Berlusconi e della delegazione forzista dopo le consultazioni dal premier incaricato Giuseppe Conte. Segno viene interpretalo nella Lega che «il Cav, uomo intelligente, ci pensa».

E il giustizialismo grillino? Rispondono dalle parti di Via Bellerio, sede storica del Carroccio a Milano: «Ma voi davvero davvero pensate che a noi il giustizialismo vada bene? Un conto è la legittima difesa, cosa che Forza Italia ha già detto che passerà anche con il loro voto. Un conto sono le partite Iva, i piccoli commercianti soffocati dagli studi di settore, gli imprenditori sfrattati o suicidatisi ( un alto numero nel Nord- Est ndr) per la morsa del fisco».

Dunque, obiettivo realistico leghista: strappare nei primi cento giorni rimpatri il più possibile di clandestini; eliminare le storture della legge Fornero, perché anche a loro è evidente che abolirla ora non si può, abbassare almeno un’aliquota Irpef, perché la flat tax così come è stata presentata al momento è impossibile da fare, insomma strappare il più possibile un programma di centrodestra, come Salvini avrebbe tentato di rassicurare Berlusconi.

A quel punto le basi del programma leghista e di centrodestra ci sarebbero tutte per poter andare a un nuovo governo con o senza elezioni della coalizione vincitrice delle elezioni. Con Salvini premier. E Forza Italia in una posizione importante e centrale per quanto attiene ai contrappesi con l’Europa. «E magari a Nicola Molteni, responsabile giustizia leghista, diremo di essere sempre meno giustizialista», confida qualcuno. Obiettivo, in conclusione, «sgonfiare i grillini, che vedrete si sgonfieranno prima o poi». Il Cav riflette, valuta, sonda. Come un attore che risce ad essere protagonista anche da non protagonista perché, come ammettono i leghisti: «Noi di lui abbiamo sempre bisogno. Tanto più se dovessimo andare al voto».