Mario Draghi si è dimesso. Non governa più l'Italia se non per quanto riguarda l'ordinaria amministrazione (almeno sulla carta). Non vuol dire che sia destinato a uscire di scena e che lui, o la sua ombra, non siano invece destinati a incidere ancora e a fondo sui percorsi della politica italiana. C'è e ci sarà un ' Effetto D.' che potrebbe al contrario rivelarsi molti incisivo e forse decisivo. Nel suo discorso al Senato Draghi ha picchiato su tutti tranne che sul Pd e Iv. Ha reso così omaggio e in un certo senso ringraziato i due partiti che in questi 17 mesi si sono più uniformati all'azione del governo senza scostarsene mai neppure di un millimetro. Il Pd di Letta è ' il partito del governo Draghi' con in più i diritti civili, territorio libero dal momento che sin dall'esordio del suo governo Draghi aveva chiarito che non si sarebbe impicciato delle materie ' di competenza parlamentare'.

È probabile, anzi certo, che quella bandiera col drago sopra verrà sventolata a più non posso di qui al giorno delle elezioni dal Pd e non solo dal Pd. Il disastro di mercoledì ha trascinato nel crollo l'intera strategia elettorale alla quale aveva lavorato Letta, il ' campo largo' a partire dall'alleanza con Conte. Se quel filo non verrà ricucito, ed è molto improbabile che ci si riesca, il segretario non potrà che impugnare l'eredità di Draghi. Già lo fa: «Se vinciamo potremo riprendere il filo di Draghi». Dichiarazioni identiche dilagano nelle agenzie, con la firma di numerosi esponenti centristi, da Renzi a Quagliariello. Le politiche di Draghi si configurano dunque come il collante intorno al quale potrebbe sedimentarsi in tempi record una nuova coalizione Pd- centristi, meglio se formalizzata con la destra in modo da poter competere nei collegi maggioritari ma che sarebbe di fatto in campo anche senza una vera coalizione.

Ma perché limitarsi alle ' politiche di Draghi' quando il padre di quelle politiche potrebbe essere disponibile di persona? Certo, Mario Draghi non accetterà mai di schierarsi con uno schieramento contro un'altra area politica ma del resto non ce n'è bisogno. Basterebbe che non respingesse a priori e pubblicamente ogni ipotesi di tornare in futuro a palazzo Chigi anche senza uno schieramento di unità nazionale per consentire a Letta e ai centomila leader centristi di annunciare l'intenzione di proporre proprio a Draghi, in caso di successo nelle urne, il ritorno a palazzo Chigi. In ogni caso si può scommettere a colpo sicuro che l'intera campagna elettorale sarà combattuta a colpi di accuse e controaccuse sulla caduta del governo Draghi e questo avvantaggerà probabilmente i partiti che potranno respingere con facilità l'addebito, il Pd e i centristi.

La stessa fretta di votare anche prima del 2 ottobre risponde essenzialmente a questa esigenza. La necessità di varare la legge di bilancio non è solo un alibi, i tempi, tenendo conto delle settimane che potrebbero essere necessarie per formare il governo, stringono davvero. Ma è molto probabile che la decisione di stringere ulteriormente i tempi di una campagna elettorale già penalizzata dal fatto di doversi svolgere in agosto, il mese proibitivo per eccellenza, potrebbero rispondere anche all'esigenza di arrivare alle urne con il ricordo del fattaccio ancora fresco.

Il fattore D. peserà dunque in ogni caso senza che però ciò implichi necessariamente la presenza o il ritorno di Mario Draghi in carne e ossa. Nulla attesta che il premier dimissionario sarebbe disposto a restare in servizio sostenuto da una sola area politica e nulla garantisce comunque che quell'area vincerà nelle urne. Solo che per esercitare il prezioso ruolo di garanzia con la Ue e gli Usa che Draghi ha svolto da palazzo Chigi l'evocazione potrebbe non bastare. Non è escluso che, in quel caso, si apra una seconda via.

Mattarella, a differenza di Napolitano, non ha accettato il secondo mandato ' a tempo'. Al contrario ha chiarito sin dall'inizio di non voler porre nessun limite temporale se non la scadenza del mandato. Però non ha neppure mai detto di voler restare comunque sino all'ultimo e nei colloqui con Draghi sia lui che Letta, per convincere il premier a rendere revocabili le sue dimissioni, avrebbero giocato proprio la carta Quirinale.

Dopo la coltellata di mercoledì nessuno oserebbe più ostacolare la sua elezione, ove Mattarella decidesse di anticipare l'addio.