La sconfitta alle Amministrative, andata oltre le peggiori aspettative, alimenta le tensioni all’interno del Pd con la segretaria Elly Schlein alle prese con il primo momento di vera difficoltà dalla sua elezione. Le correnti interne rumoreggiano e anche i principali sponsor dell’ascesa della segretaria appaiono sorpresi dall’esito regalato dalle urne. Tenere insieme i dem, adesso, diventa un po’ più complicato e Schlein stessa ha chiesto tempo per poter concretamente realizzare quel cambiamento di cui sembrano evaporare le tracce. Ne abbiamo discusso con il professore emerito di Scienza Politica Gianfranco Pasquino.

Il risultato delle ultime elezioni amministrative ha segnato una pesante battuta d’arresto per il Pd che è andato subito in fibrillazione. In tanti puntano il dito contro Schlein. Secondo lei la sconfitta è attribuibile a una sua responsabilità?

Certamente no. La responsabilità della sconfitta è da attribuire direttamente ai dirigenti e ai quadri del partito sui vari territori nei quali si è votato. Del resto il Pd ha perso a Pisa, Ancona, Massa e in città che erano già passate al centrodestra. Si potrà dire magari che la destra aveva un vantaggio presentando il sindaco uscente, ma non vedo alcuna responsabilità diretta della segretaria che è in carica da troppo poco tempo.

Eppure fin dalla sua elezione ai gazebo si è parlato di effetto Schlein fondamentale per il rinnovamento mozione che impegnerà il governo a non decurtare il Pnrr per armare Ucraina e forze armate tricolori e in effetti il governo aveva già escluso questa eventualità ma ieri, dopo il voto, la tentazione ha iniziato ad allargarsi tra i parlamentari della maggioranza.

La via d'uscita trovata dalla segretaria dopo ore di conciliaboli on line con gli eurodeputati consisteva in un pacchetto di emendamenti effettivamente ottimi fatti propri dall'intero eurogruppo “Socialisti e Democratici”. Solo che era assolutamente certo che quegli emendamenti non sarebbero mai passati come infatti è stato. A quel punto la segretaria, con una scelta davvero sbalorditiva, ha scelto di non scegliere e ha lasciato libertà di voto al gruppo. Su 16 votanti uno ha votato no, Massimiliano Smeriglio, quattro si sono astenuti tra cui l’ex medico di Lampedusa Pietro Bartolo e l'unica europarlamentare schierata con Schlein al congresso, Camilla Laureti. Non ha partecipato al voto Giuliano Pisapia. Gli altri 10 hanno votato a favore.

La guerra non è un argomento fra tanti e probabilmente molti tra gli elettori che hanno rovesciato il verdetto degli iscritti e incoronato Schlein lo hanno fatto anche per le sue antiche posizioni pacifiste. Ma nessuno poteva credere in un ribaltamento della linea imboccata a rotta di collo da Letta. In questo caso però non era in discussione il sostegno o la fornitura di armi a Kiev ma un aspetto specifico, molto significativo ma che non avrebbe in alcun modo indebolito il sostegno dell'Italia, e del Pd, a Kiev. Non che si debba esagerare con le critiche: dietro gli applausi spesso bugiardi scrosciati dopo la vittoria, Elly Schlein si trova davvero in una situazione difficile, ostaggio di aree e correnti che nel Pd non hanno mai deposto le armi: le hanno solo nascoste. Sta a lei, però, accettare di farsi tenere in ostaggio o usare la forza di cui per ora dispone per evitarlo e reagire subito. Perché presto sarà tardi per farlo.

Un pizzico di questo effetto magari si sarebbe dovuto ritrovare anche nelle urne…

È vero che ci si aspettava, e ancora ci si aspetta, un effetto Schlein nel senso del rinnovamento del partito, ma non ci si poteva certo aspettare un riflesso positivo alle urne in una tornata amministrativa. Fossero state elezioni politiche la storia sarebbe stata diversa. Ogni città in cui si è andati al voto ha una sua storia particolare, i suoi problemi e nessuno di tali elementi può essere attribuito alla segretaria. Chi ha pensato che bastasse una scossa per un improvviso cambiamento a livello nazionale e in ogni tipo elezione ha fatto un errore. Un cambiamento profondo non può essere improvviso.

La stessa Schlein ha chiesto del tempo dicendo che il cambiamento non è un pranzo di gala…

C’è bisogno di prendersi del tempo e c’è la necessita che tutte le componenti del partito lo capiscano senza ripetere dinamiche del passato. Vedo una frenesia interna al Pd che non capisco come non mi pare esistente una reale contrapposizione tra riformisti da una parte e rivoluzionari dall’altra. E non credo che Schlein sia rivoluzionaria. La realtà è che non c’è una via alternativa al cambiamento che va perseguita per tutto il tempo necessario.

Non saranno divisioni ideologiche, ma la lotta tra le correnti sembra essersi risvegliata. Il rischio che i vari gruppi possano mettere nell’angolo Schlein quanto è alto?

Le correnti si sono sicuramente indebolite. Vedo più che altro elementi di gelosia e ripicche interne che un partito serio non dovrebbe mai esprimere. Ma questo è un problema che il Pd si trascina fin dal momento della sua fondazione. Non bisogna mai dimenticare che stiamo parlando di un partito che è nato male e cresciuto peggio.

In ogni caso non sembrano aiutare alcune posizioni ambigue assunte dalla segretaria, come quella relativa all’utilizzo dei fondi Pnrr per l’acquisto di armi in Ucraina. La sensazione è che provi a tenere tutto insieme indebolendo così la sua linea.

Guardi, in realtà credo che provare a tenere tutto insieme sia un tentativo nobile. Ovviamente va portato avanti con una certa coerenza di azione e provando a dare omogeneità. Sul caso specifico penso sia un errore mettere distinguo sull’aiuto da offrire all’Ucraina e credo sia sbagliato argomentare contro l’uso del denaro per la sopravvivenza di quella nazione. Valuteremo le posizioni della segretaria volta per volta e ovviamente anche le conseguenze che queste avranno.

Anche a livello regionale qualcosa comincia a scricchiolare. I risultati ottenuti dal Pd in Campania sono diventati subito vessillo della lotta di De Luca per ottenere il terzo mandato. Considerando il voto dei circoli che aveva dato un esito diverso rispetto ai gazebo vede un rischio balcanizzazione?

Mi auguro di no. Il Pd deve rimare un partito nazionale e si deve lasciare spazio alle varie sensibilità esistenti. Se De luca ottiene consenso vuol dire che se lo merita. È chiaro anche però che la linea va dettata a livello nazionale e un partito serio non può essere un arlecchino. La questione del terzo mandato di De Luca non mi pare abbia troppo rilievo. Mi pare che questa possibilità sia stata già ottenuta da altri. Penso che una discussione più seria dovrebbe essere sui meriti e sui demeriti che ciascun esponente del partito ottiene sul campo.

Rimane poi irrisolta, o anzi ancora più complicata, la questione relativa alle alleanze. Campo largo o meno, senza una coalizione ampia il Pd non è in grado di vincere le elezioni. Da dove si comincia?

Si comincia dalla base. Anzi si doveva cominciare dai Comuni e dagli accordi sui vari territori. Il prossimo appuntamento di rilievo è costituito dalle elezioni europee alle quali si correrà da soli e con un sistema proporzionale. In quell’occasione si conteranno le forze e probabilmente è meglio così: vedremmo meglio quanto davvero andrà a pesare ogni singolo partito e da lì si potrà cominciare un percorso diverso. Si dovrà però chiudere la disputa tra campo largo e obiettivi specifici che non ha senso di esistere. Che si parli poi di campo largo o di una coalizione grande poco importa. Un dato è chiaro: allearsi è indispensabile e necessario, altrimenti perdono tutti e continueranno a perdere peggio. Serve cominciare a lavorare ad obiettivi comuni da trovare senza affrontare ogni dibattito mettendo avanti questioni non negoziabili. Per realizzare un accordo serio occorrono disciplina e coerenza. Penso che su questioni come il salario minimo, un diverso atteggiamento nei confronti dell’ambiente, il diritto all’istruzione Calenda, Schlein, Conte e tutto il centrosinistra potrebbero trovare accordi e vedute comuni. Magari discutendone in maniera originale e senza trascurare il confronto con i tanti esperti disposti a collaborare.