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Dopo l’approvazione, in commissione Giustizia al Senato, del testo sull’abolizione del delitto di abuso d’ufficio, non si è fatta attendere, sul filone del recente e tanto contestato emendamento Costa – ribattezzato dai suoi detrattori come “legge bavaglio” – l’esame di un altro dei capisaldi della riforma penale di Nordio: la “stretta garantista” ( quasi a mo’ di ossimoro) sulle intercettazioni, sancita giovedì scorso dal voto sugli emendamenti.
La norma a tutela della riservatezza dei terzi non sottoposti a procedimento, interviene sull’articolo 268 del codice di procedura penale (in materia di esecuzione delle intercettazioni) prevedendo l’inserimento di un espresso divieto – nei verbali delle conversazioni intercettate e in qualunque “brogliaccio” o stralcio impiegato dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero in sede di indagine (pe esempio in sede cautelare, a sostegno di richieste di misure cautelari) – di far menzione dei “dati che consentono di identificare soggetti diversi dalle parti”.
Fino ad ora, sebbene con le modalità e le garanzie previste dalla legge, una volta cessato il segreto investigativo e depositate le trascrizioni delle intercettazioni, era pacificamente assodata la possibilità che nelle stesse si trovassero nomi e riferimenti a soggetti terzi, i quali – pur non coinvolti nelle e dalle indagini – si trovavano talvolta “attenzionati”, specie se personaggi di spicco, dall’opinione pubblica e da un certo accanimento massmediatico senza eguali.
In risposta a tale deprecabile fenomeno – per i tecnici indicato con l’espressione “intercettazioni indirette” – con l’approvazione in commissione Giustizia del Senato dell’emendamento garantista di Forza Italia, si estende, anche con riferimento a tale aspetto, il più volte citato divieto di pubblicazione delle intercettazioni che non siano “riprodotte nelle motivazioni” di un atto del giudice o “utilizzate nel corso del dibattimento”, salvo che ne venga dimostrata la loro rilevanza; questo in stretta sintonia con l’emendamento Costa.
Si è opportunamente precisato, peraltro, che non solo non potranno comparire i nominativi di terzi ma nemmeno i riferimenti o eventuali dettagli di questi, seppur imprecisi, che possano però contribuire a farli identificare. Ne consegue che, se il giudice non le ha riportate all’interno della motivazione di un provvedimento, quelle intercettazioni diventano automaticamente segrete.
Sempre per ciò che concerne il tema delle intercettazioni, l’Esecutivo ha espresso parere favorevole a un altro emendamento, quello della capogruppo della Lega inerente all’archivio digitale delle intercettazioni, che affida al Procuratore della Repubblica la tutela del segreto dei dati personali relativi a soggetti diversi dalle parti coinvolte nel procedimento. Novità, questa, che, encomiabile nelle intenzioni, occorrerà monitorare con particolare attenzione atteso che la quotidiana prassi giudiziaria ci insegna come i primi uffici- bersaglio destinatari di richieste di aggiornamenti investigativi sono proprio gli Uffici di Procura. In altri termini, citando Giovenale, il dubbio che sorge spontaneo è quello di chiedersi chi custodirà i custodi.
Fortemente contrariato dalle novità apportate, il capogruppo in commissione Giustizi del Pd, l’avvocato Alfredo Bazoli, per il quale “il processo è pubblico e non devono esserci spazi di non conoscibilità poiché è finalizzato al controllo dell’opinione pubblica su come viene utilizzata la potestà punitiva dello Stato”. A parer suo, questa ulteriore stretta, rappresenta una grossolana limitazione al controllo democratico, contribuendo a ledere un principio fondamentale come quello della conoscibilità al pubblico del processo.
Al contrario, è forte convinzione – pur comprendendo l’obiezione mossa – che, nell’ottica di un diritto penale liberale, non si possa confondere la funzione sociale “minima” che riveste il processo penale, ossia quella di accertamento della penale responsabilità di soggetti sottoposti a giudizio perché accusati della commissione di reati, con il soddisfacimento del bisogno di giustizia che reclama l’opinione pubblica. Se è vero che il processo è già di per sé una pena, appare tutt’altro che “dovuto” – in ossequio alla pubblicità del processo penale – coinvolgere e talvolta stravolgere la vita, la carriera, la professione, di soggetti completamente estranei che siano entrati in contatto – più o meno accidentalmente – con soggetti poi divenuti indagati o imputati in procedimenti penali.