«Grillo e il suo futuro non sono in discussione nel Movimento 5 Stelle, dobbiamo solo adeguare alcune scartoffie per alcune ordinanze della magistratura emesse negli ultimi giorni». Luigi Di Maio prova a sminuire la delicatezza del momento. Ma la creatura modellata dal comico genovese e Gianroberto Casaleggio sta per cambiare pelle. Il M5s sta per diventare un partito come gli altri. Non è più tempo di strutture liquide e di contenuti masticati in rete, adesso c’è bisogno di un corpus di regole certe e di gerarchie trasparenti, in modo tale che in futuro nessun espulso possa pensare di rivolgersi a un giudice per essere reintegrato nel Movimento. Per cambiare pelle, però, bisogna anche trasformare in un “passo indietro” il famoso “passo di lato” annunciato ormai due anni fa dal fondatore. Per Grillo, che già a novembre del 2014 si era definito «un po’ stanchino», cedere la proprietà del simbolo potrebbe essere addirittura una liberazione, significherebbe non dover più fare da mediatore tra persone che da “cittadini” si sono trasformati in pochissimo tempo in politici di professione («abbiamo creato dei mostri», aveva detto al Circo Massimo, dopo solo un anno di esperienza parlamentare). Cedere il logo, inoltre, equivarrebbe per Grillo a una messa in sicurezza del patrimonio personale, minacciato dalle continue cause intentate contro il Movimento e il suo legale rappresentante. Ma prima di abbandonare bisogna risolvere un po’ di questioni tecniche. Il simbolo appartiene a un’associazione di cui fanno parte: il leader genovese, il suo commercialista Enrico Nadasi e il nipote Enrico Grillo. Bisogna, dunque, allargare la platea dei proprietari.Il problema è capire come, visto che dentro il Movimento 5 stelle non tutti la pensano allo stesso modo. Un’indecisione che ha fatto slittare anche il voto on line per la modifica dello Statuto, prevista per giovedì scorso e rimandata alla prossima settimana. Attualmente, le ipotesi in campo sul futuro pentastellato sono tre: cedere il simbolo al gruppo parlamentare, fare entrare i cinque membri del Direttorio all’interno dell’associazione proprietaria del marchio o mettere il simbolo a disposizione della piattaforma Rousseau. Nella prima ipotesi, Beppe Grillo continuerebbe a fare il garante ma con quasi entrambi i piedi fuori dal Movimento. Una soluzione che però non va a genio a soci fondatori che vorrebero continuare a esercitare un controllo sul partito. Ma anche l’idea di far entrare Di Maio, Di Battista, Fico, Ruocco e Sibilia nell’associazione presenta delle gravi controindicazioni: i cinque non sono stati eletti da nessuno, sono stati nominati nel 2014 direttamente da Grillo. È difficile immaginare che gli altri “big” del partito accettino di essere ancora una volta scavalcati dallo Staff, scoppierebbe una vera e propria guerra tra bande. Cedere il marchio alla piattaforma Rousseau, infine, equivarrebbe a incoronare Davide Casaleggio come arbitro indiscusso delle sorti del partito.Per questo, forse, il vice presidente della Camera prova a stemperare. Perché in attesa di trovare un accordo è meglio dare l’impressione che in futuro cambierà giusto qualche dettaglio: «Dobbiamo mettere mano allo statuto per adeguare qualche articolo», dice Di Maio, «ma tutto quello che decideremo sarà ratificato dai nostri iscritti e non sarà niente che stravolgerà il Movimento».