Ma cosa potrà mai aver pensato Sergio Mattarella quando ha appreso che, in quel parterre de droite che è stata la Festa della Repubblica ai Giardini del Quirinale, Meloni a un certo punto s’è girata verso i giornalisti appellandoli con un «Ahó, ma siete proprio origliatori seriali»? Difficile vedere vicine due personalità così agli antipodi, l’uno discendente dalla morotea scuola di cattolicesimo democratico che tanta parte della storia repubblicana ha segnato, l’altra epigona della scapigliatura giovanile e fascistoide dei Gabbiani di Colle Oppio, nonché protagonista della svolta protoministeriale e post- fascista di Fiuggi. Difficile decrittare che rapporti possano correre tra un gentiluomo parlemitano e una pasionaria romanaccia, con tutto il rispetto per le reciproche rispettabilissime carriere istituzionali e politiche.

Cortese com’è, e sempre schermato dal proprio sorriso azzurrino, il Presidente ha da subito impostato il rapporto con la Presidente sui corretti binari istituzionali: cooperazione, in nome dell’armonia che è il sotteso costituzionale nei rapporti tra le Alte Cariche. E rispetto pieno dei reciproci ruoli. Infatti, l’apertura di credito del Quirinale è stata immediata, il processo di formazione del governo un lampo - come forse mai nell’intera storia repubblicana, Einaudi e governo Pella a parte- e con solo qualche appunto - proprio dove non si poteva evitare, data la chiassosità al Viminale verificatasi in un certo precedente esecutivo. Cortesia, dunque. E rispetto di funzioni, ruoli e regole. I due si danno del lei - come ovvio, e forse anche perché la premier è una giovane donna ma il loro rapporto è diretto: si sentono spesso. E il loro è un dialogo operativo: mirato al dispiegamento delle rispettive responsabilità.

Mattarella - va detto - lavora moltissimo al telefono, tutto il giorno fino alle 19, e i rapporti sono a 360 gradi, per dirla come direbbe Meloni. Spesso anche in colazioni al Colle, che restano rigorosamente riservate, così come gli incontri. Il copione, il metodo presidenziale, sembra essere più o meno questo: Mattarella fa una domanda, lascia che l’interlocutore si esprima, e maieuticamenteo arriva la richiesta di un parere, un’indicazione, un consiglio. Poi certo, al lavoro ci sono i rispettivi uffici, il segretario generale del Colle Zampetti ha ovviamente un filo diretto con l’omologo a Chigi Mantovano, e così via: in prima linea, ovviamente, il Legislativo del governo e l’ufficio del Consigliere giuridico della Presidenza della Repubblica.

Frizioni, notoriamente, ve ne sono state. Tra le note e le meno note, a bizzeffe. Ma non direttamente tra i due presidenti: Meloni sembra consapevole che quella soglia non possa essere travalicata. Ma di certo i suoi non amano Mattarella. Basti ricordare il malumore espresso da La Russa ( che sarebbe poi la Seconda carica dello Stato) quando il Quirinale si affrettò a porre rimedio, con una telefonata Mattarella- Macron, alla prima grave rottura tra Parigi e Roma. O alle recentissime pubbliche proteste del ministro del Mare Nello Musumeci per non essere stato «invitato» ad accompagnare Mattarella nella visita agli alluvionati di Romagna. A parte che i ministri non vengono «invitati» a visite dal Quirinale, e che la loro presenza accanto al Capo dello Stato è in precise e pressoché protocollari situazioni, il Colle è stato costretto a emettere una nota, «la presenza di ministri è sempre gradita». E deve essere proprio vero, dato che a quanto pare solo pochi giorni prima il ministro era stato ricevuto al Colle, dove si era visto offrire la tenuta di Castelporziano come scenario per le celebrazioni della «Giornata del Mare» da lui stesso istituita.

In un’architettura istituzionale come quella italiana il ruolo del capo dello Stato è, come si dice, «a fisarmonica», dev’essere cioè capace di dilatarsi e comprimersi nel nome del buon funzionamento del complesso delle istituzioni. C’è chi parla di «controcanto» di Mattarella al governo, in materia di migrazioni, solidarietà, rispetto delle minoranze, dei trattati internazionali e nei rapporti sostanziali con l’Unione europea, e certamente l’effetto ottico può essere questo. Ma Mattarella è custode dei valori costituzionali, e ogni discorso infatti è corredato di questo, quello e quell’altro articolo della Costituzione: il pieno espletamento della sua funzione, insomma. Si è detto pure - i giornali a lettorato di destra lo strillano ogni giorno - che il Quirinale percorre una diplomazia parallela: ma in realtà nel nome dell’interesse della Nazione, come si possono non solo lasciar incrinare ma anche solo trascurare i rapporti con Paesi che da soli fanno quasi l’ 80 per cento del Pil ( e della popolazione) della Ue, a cominciare da Francia e Germania? Si vince solo facendo sistema, è il refrain. Con Macron - che Mattarella vedrà oggi a Parigi per la mostra su Napoli al Louvre - e con l’omologo tedesco Steinmeier i rapporti sono intensi. E negli ultimi mesi Mattarella ha girato mezza Europa (Balcani compresi), per rafforzare l’Italia in vista delle sfide che si profilano, a cominciare dalla ridefinizione delle regole del Patto di Stabilità che potrebbero essere per noi penalizzanti.

Meloni ha trovato con Mattarella tre punti di convergenza, e proprio in politica estera: l’attenzione per la guerra in Ucraina e il ruolo della Nato; i Balcani Occidentali; l’Africa e il cosiddetto «piano Mattei». Per il resto, se sfida c’è tra i due, è la popolarità. Altissima per entrambi, nonostante l’uno declami la Costituzione e i suoi valori, e l’altra se potesse la riscriverebbe da capo a piedi. Pur avendo riposto nel cassetto la propagandata elezione diretta del presidente della Repubblica. Ma chissà se nella recente svolta meloniana per il premierato c’è una qualche moral suasion morotea.