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«L’ invecchiamento della popolazione ci impone di essere aperti all’immigrazione, la quale è un processo complesso che va governato e gestito con attenzione e lungimiranza, non certo con slogan». Nel suo ultimo discorso pubblico prima di lasciare la carica di governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco lo ha detto senza mezzi termini, lanciando un monito alla politica che è sostanzialmente lo stesso di Sergio Mattarella. Aggiungendo anche che altri Paesi, come il Giappone dove pure la materia era tabù, quella sfida l’hanno vinta, e i risultati si vedono in termini di incremento della crescita.
Il governatore - che tra qualche giorno sarà con il ministro Giancarlo Giorgetti a Marrakech per l’annuale riunione del Fondo Monetario Internazionale - ha di fatto concluso con il suo intervento il convegno dell’Associazione Marcello De Cecco appena tenutosi a Lanciano che incrociava tre temi apparentemente solo paralleli: calo demografico, immigrazione e mercato del lavoro, e infine intelligenza artificiale.
Anche se il problema riguarda tutto l’Occidente, l’Italia è fanalino di coda per tasso di natalità, un declino demografico che viene da lontano e sul quale il primo a lanciare l’allarme - nel 1994 - fu il più grande demografo italiano, Massimo Livi Bacci. Ma per correre ai rimedi, non basta portarsi al livello degli altri grandi Paesi europei in quanto a servizi alla maternità e per l’infanzia. Asili nido, congedi parentali, sussidi e incentivi sono livelli minimi di assistenza di un moderno welfare, ma non possono certo motivare a mettere al mondo un figlio. Quello che è cruciale - hanno sostanzialmente rilevato gli esperti presenti, a cominciare dai demografi Alessandro Rosina e Francesca Bettio - è la possibilità di lavoro per le donne, perché è noto che calo demografico e disoccupazione femminile sono fattori collegati.
Per molti motivi, tra i quali uno è lampante: per mantenere un figlio, occorre che gli stipendi in famiglia siano due. In Italia ha un lavoro solo il 51 per cento delle donne contro una media Ue del 65 per cento, che in Germania arriva invece al 73 per cento, e l’Italia è storico fanalino di coda anche in quanto a bassi salari. Per le donne e i giovani in Italia «negli ultimi decenni il lavoro è aumentato, ma solo in occupazioni marginali e scarsamente retribuite, e con il 47 per cento di occupazione part- time tra le donne che non è su base volontaria», ha spiegato il professor Pasquale Tridico. A questa situazione catastrofica, per l’economia italiana e per il benessere della società, hanno contribuito non poco le politiche di flessibilità del lavoro introdotte negli ultimi decenni, che hanno spinto in alto le percentuali di lavoro precario, allargando di molto la forbice delle diseguaglianze: tutte condizioni che, con buona pace delle “politiche per la famiglia” a base di sussidi e incentivi, favoriscono di molto la bassa natalità.
Perché è così preoccupante il calo demografico italiano? Anche al di là della sostenibilità a lungo termine del sistema previdenziale, come ha sostenuto Tridico, da poco sostituito con un inedito spoil system ai vertici dell’Inps e che a Lanciano ha proposto di sostenere la previdenza italiana con un’apposita tassazione delle multinazionali, il punto è che un Paese è la sua forza lavoro, e che senza manodopera non è possibile la crescita economica. Lo ha spiegato bene Andrea Brandolini della Banca d’Italia: il regresso demografico implica un regresso economico, l’unica via d’uscita per un Paese come l’Italia per «recuperare punti di crescita del Prodotto interno lordo è avere la capacità di attrarre immigrati».
Tutto il contrario di quel che si sta facendo. Siamo notoriamente in una situazione per la quale le forze politiche di maggioranza, e la stessa azione del governo, sono costantemente rivolte a demonizzare l’immigrazione, a togliere o non conferire diritti di cittadinanza ai quasi 10 milioni di immigrati che lavorano in Italia, con buona pace del fabbisogno dell’industria. Sono dati del ministero dell’Interno a stimare il fabbisogno in 800mila lavoratori. E a fronte di questo, il governo ha deciso di “aprire” a 450mila migranti in 3 anni, il che non è tanto diverso dai 150mila che previde il primo “decreto flussi” in applicazione della Bossi- Fini, la legge che ha operato di fatto un blocco alla crescita, e sulla quale ha recentemente fatto parziale autocritica uno dei suoi autori, Gianfranco Fini. E comunque, anche in quanto a “capacità di attrarre immigrati” siamo realmente molto indietro, ha spiegato Brandolini, perché essa dipende sì dalle politiche migratorie e dall’integrazione che si offre, ma anche dalla performance dell’economia. Sarà utile ricordare a questo proposito che la Germania negli ultimi 10 anni ha aperto le porte a 3 milioni di migranti, un milione e 200mila dei quali allo scoppio della guerra civile in Siria: Angela Merkel aveva capito che avrebbe “arruolato” anche il meglio della classe dirigente di Damasco, a cominciare dagli ingegneri.
Dunque l’Italia non tornerà al benessere di un tempo perché è il paese a più forte crisi demografica, e invece che agli immigrati come forza lavoro sostitutiva coltiva la fantasia distopica di un grande complotto mondiale volto alla “sostituzione etnica”. Un Paese che impiega male le straordinarie risorse messe a disposizione dal Pnrr, come ha spiegato il professor Alfonso Fuggetta del Politecnico di Milano, «facendo debito non per lo sviluppo, ma per tutelare l’esistente».
Quello che occorrerebbe, ha aggiunto, sono forti investimenti sull’Intelligenza Artificiale. Anche in questo, l’Italia è assente, imprigionata per giunta in un assurdo dibattito che somiglia a quello sull’immigrazione: agitando nei cittadini paure, invece di badare al dato di realtà. Stefano Quintarelli, che è nel gruppo di esperti sull’IA della Commissione di Bruxelles, ha spiegato che essa è pura selezione di dati statistici, sia pure nella strabiliante quantità di centinaia di miliardi. «Non è intelligente, non è cosciente, non è senziente» per dirla con l’efficace sintesi di Marco Bentivogli. Ma è la protagonista della seconda ondata di “macchine pensanti”, quella che sta già facendo crescere l’ingaggio cognitivo e calare le mansioni ripetitive. Eroderà il lavoro creativo e i white collar (gli impiegati), e polarizzarà ulteriormente il mercato del lavoro. E l’Italia ne avrebbe fortemente bisogno, collocata com’è in media sulle competenze medio- basse, e con la formazione che è la cenerentola delle nostre politiche.
Ma mentre Cina, Stati Uniti e Unione europea hanno investito una potenza di fuoco sulla IA, in Italia zero virgola zero. Eppure la IA aiuterebbe il modello dell’Azienda Italia, le Piccole e Medie Imprese ( PMI) a crescere, perché permette di fare cose che - senza - sono nelle disponibilità solo delle grandi imprese. Perché poi, dice Ignazio Visco, «in Italia non siamo riusciti a creare una classe imprenditoriale come quella che ha invece ha consentito il miracolo economico» del dopoguerra: l’Italia non cresce perché «sono mancati gli investimenti provocando il calo della produttività».