Da una parte la Cgil di Maurizio Landini e il M5S di Giuseppe Conte. Dall’altra la minoranza interna del Pd e Matteo Renzi. In mezzo, Elly Schlein, che cerca di barcamenarsi per non dare fastidio né agli uni né agli altri, a poco più di un mese dalle Europee. 

Materia del contendere è il referendum per abrogare il Jobs Act che Landini vorrebbe mettere in piedi raccogliendo le firme, proposta alla quale hanno già aderito oltre al già citato Conte personaggi di spicco del vecchio e del nuovo Pd, da Andrea Orlando a Laura Boldrini, da Marco Furfaro a Sandro Ruotolo. 

Schlein al momento non firma, ma vorrebbe. Non ha mai nascosto che una delle riforme simbolo dell’era Renzi proprio non le va giù, e firmare sarebbe il modo migliore per riavvicinarsi al mondo del sindacato rosso, abbandonato senza troppi problemi dallo stesso Renzi dieci anni fa. 

Anche perché, se non lo fa, chi ne approfitta è Giuseppe Conte, che con Landini si sente ormai più che con la stessa Schlein e che sul tema del lavoro è pronto a condurre la battaglia in prima persona. Al pari, com’è ovvio, di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli di Avs. 

Ma al Nazareno in molti la pensano diversamente, dal presidente del partito Stefano Bonaccini a coloro i quali di quella stagione di riforme furono protagonisti, da Graziano Delrio a Lorenzo Guerini. 

E così, chi ne approfitta è lo stesso Renzi, che coglie la palla al balzo e provoca i dissidenti dem. «Il JobsAct, Industria 4.0, la riduzione delle tasse (Irap costo del lavoro), i veri 80 euro: le nostre misure hanno creato occupazione e aumentato i salari – scrive su Twitter – Oggi la Cgil e i Cinque Stelle vogliono cancellarle con un referendum. Il Pd di allora votò quelle riforme. Il Pd di oggi sta con Cgil e Landini.Domando ai riformisti: ma che ci fate ancora là dentro? Stanno cambiando posizione su tutto. Venite con noi a costruire la casa dei riformisti. A costruire gli Stati Uniti d’Europa».