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ANTONIO TAJANI MINISTRO ESTERI
Moltissime persone ieri hanno sfilato a Roma nella manifestazione convocata da una pletora di associazioni contro il riarmo o in quella “parallela” della sinistra radicale. M5S e Avs erano in piazza. Il Pd ufficialmente no. Solo partecipazioni individuali. Il partito di Elly si è astenuto, con tanto di spaccatura, sul riarmo a Strasburgo ma non può allinearsi sulle posizioni massimaliste dei 5S e di Avs. Anche perché le bacchettate dei socialisti europei e del capo dello Stato diventerebbero frustate.
Martedì Conte ha convocato all’Aja una sorta di “controvertice” in occasione del summit Nato. Pd e stavolta anche Avs diserteranno la mobilitazione. Soprattutto il Pd non può passare per partito anti- Nato. Se poi si arrivasse a oneste manifestazioni alternative sull’Ucraina il guaio sarebbe immenso: Elly e Giuseppi dovrebbero trovarsi in piazze contrapposte.
Alla fine della settimana prossima il Consiglio europeo dovrebbe risolvere l’enigma del riarmo europeo. Sarà occasione per un opportuno chiarimento anche all’interno della maggioranza e del governo, pensandola in materia i tre partiti della maggioranza in maniera non diversa ma opposta. Meloni, come Tajani, non perde occasione per esaltare la difesa europea. Salvini è altrettanto solerte nel ripetere che lui a sborsare miliardi per riarmare a tutto vantaggio della Germania non ci pensa per niente. In quelle ipotetiche manifestazioni contemporanee e alternative sull’Ucraina, peraltro, la destra non starebbe messa meglio della controparte. Meloni a braccetto con Schlein. Conte con Salvini: una rimpatriata.
La vulgata sostiene che queste spaccature profonde quanto la fossa delle Marianne in politica estera contino poco più di zero: non incrinano le alleanze e dunque è tutt’alpiù folklore. La ciccia, quel che conta, è solo la politica interna. Non è così, non lo è stato negli anni recenti, lo sarà sempre meno in quelli futuri. Si prendano le ultime elezioni,quelle del 2022: un’alleanza con il M5S che l’allora segretario del Pd Zingaretti aveva costruito mattoncino su mattoncino nella fase del governo giallorosso, anche a costo di spacciare Giuseppe Conte come “insostituibile” uomo della provvidenza, è rovinata con esiti disastrosi solo ed esclusivamente sullo scoglio della guerra in Ucraina. Conte, sospetto di intelligenza con il diavolo di Mosca, doveva essere messo da parte anche a costo di affrontare le urne come si fa con il capestro.
Non è che dall’altra parte gli effetti della divaricazione in politica estera si siano fatti sentire di meno anche se Meloni, politica decisamente più abile di Enrico Letta, ha saputo trasformarli in rendita di posizione. Si è presentata come campionessa di una destra radicalmente atlantista. Ha chiesto e ottenuto il saldo per aver saputo domare, imbrigliare e rendere innocuo Salvini la vera faccia italiana delle destre antieuropee e conniventi con Putin che sfondano in tutto il vecchio Continente.
Non è una fase passeggera. Durerà e durerà a lungo. Lo squilibrio che rendeva essenziale la politica interna e di facciata quella estera era propria di una fase sostanzialmente ordinata, nella quale gli schieramenti e le scelte al di là dei confini nazionali, erano dati a priori. Il tracollo di quell’ordine e la progressiva ma insorabile perdita di sovranità da parte degli Stati europei hanno rovesciato quel rapporto. I governi si fanno e si disfano molto più a partire dagli equilibri internazionali e sulla base di quelli interni.
Quanto di questa nuova realtà i politici italiani abbiano preso atto è incerto. Alcuni, come la stessa Meloni, lo hanno fatto con mirabile tempismo. Altri, inclusa la segretaria del Pd, stentano almeno a riconoscere in pieno le conseguenze di questa radicale torsione. Altrettanto inevasa è la domanda su quanto gli attuali schieramenti potranno resistere alla macroscopica contraddizione che li vede divisi su quel che oggi è l’essenziale anche se uniti su quel che invece è il particolare. Nessuno può dirlo, oggi, perché la possibilità o meno di restare uniti nonostante le divisioni non dipende dalla buona volontà dei leader ma da circostanze mai così imprevedibili. Sarà quel che succede nel mondo a condizionare destino e scelte delle forze politiche nazionali.