L’occasione per ribadire l’accusa è venuta dalla conferenza stampa convocata ieri al Senato dal presidente dei senatori dem Francesco Boccia, dalla responsabile Giustizia del Pd Debora Serracchiani, dalla vicepresidente del Senato Anna Rossomando, dal capogruppo Pd in commissione Giustizia Alfredo Bazoli e dal capogruppo dem in Antimafia Walter Verini. Oggetto dell’incontro con la stampa, il ddl 466, che prevede modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale, al codice di procedura penale e al decreto legislativo 70 del 2003, in materia di diffamazione, di diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di diffusione, di condanna del querelante nonché di segreto professionale e disposizioni a tutela del soggetto diffamato.

Il senatore di Fratelli d’Italia Alberto Balboni

È dei giorni scorsi la notizia della presentazione da parte di senatori della maggioranza di alcuni emendamenti, poi ritirati, che prevedevano il carcere per i giornalisti ritenuti colpevoli del reato di diffamazione. E di ieri invece un’intervista a Repubblica del senatore di Fratelli d’Italia Alberto Balboni, autore del testo base della proposta, che ha preso le distanze dagli eccessi delle modifiche inizialmente richieste da alcuni dei propri colleghi.

Tuttavia il ritiro degli emendamenti firmati in particolare dal relatore Gianni Berrino ( FdI), che secondo fonti parlamentari sarebbero stati caldeggiati direttamente da Palazzo Chigi, non è bastato a spegnere l’allarme dei dem. «Noi abbiamo fortemente contestato – ha sottolineato Boccia – non solo la norma ma l’atteggiamento della maggioranza, le modalità con le quali il governo è intervenuto e il tentativo violento di intimorire la stampa e di imbavagliarla».

Secondo il capogruppo Pd a Palazzo Madama si tratta del segno di una più generale «insofferenza ai meccanismi di controllo», dei quali la stampa è un pilastro, ma che riguarda anche quello che accade sul Pnrr e sul Def: «Il ministro Fitto ha smontato il Pnrr, eliminato le possibilità di controllo della Corte dei Conti, cancellato alcuni contenuti che riguardavano gli investimenti degli enti locali, poi ha rimontato il Piano e gli è avanzato qualche pezzo. Ma ha sempre detto che “rispetteremo i termini”. A sua volta Giorgetti ha iniziato a dire, prima in Europa e poi in Italia, che ci saranno dei ritardi, e che il Pnrr probabilmente sarà spalmato nei due anni successivi. Lo fa per prendere altri spazi di indebitamento. Peccato che il Def, che noi contestiamo, contenga oggi una crescita del Paese dello 0,9, grazie al Pnrr. La crescita dell’ 1% prevista col quadro tendenziale è evidentemente fasulla».

Bazoli sostiene che le intenzioni della maggioranza e del governo «sono diventate più evidenti con gli emendamenti proposti la settimana scorsa dal relatore del ddl 466, con i quali si reintroduceva la pena della detenzione per i giornalisti, con sanzioni pecuniarie molto elevate che mettevano fortemente a repentaglio la libertà di stampa. Sanzioni dal sapore intimidatorio nei confronti del mondo dell’informazione.

Quegli emendamenti presentati dal relatore, e ricordo – ha aggiunto – che il relatore di un testo di legge si muove non in autonomia ma tendenzialmente in accordo col governo, sono stati ritirati: è una cosa positiva ma che non toglie la sensazione che ci ha lasciato, e cioè che parte della maggioranza vuol cogliere l’occasione non per bilanciare, equilibrare il rapporto fra tutela della reputazione e libera informazione, ma per operare una forte stretta».

Bazoli ha ricordato che la recente direttiva europea su questi temi «è stata chiamata legge di Dafne, in ricordo della giornalista maltese Dafne Caruana, uccisa mentre aveva a suo carico 48 procedimenti legali, ovviamente e evidentemente di natura intimidatoria».

Verini, dal canto suo, ha ricordato che nel 2022 «sono state 500 le liti temerarie a danno di giornalisti. Il tema emergenziale oggi, dopo che l’intervento dell’allora ministro Andrea Orlando aveva corretto alcune storture, non è la lesione della reputazione», sostiene il capogruppo Pd in Antimafia, «ma la tutela del giornalismo. Quello che accade con il servizio pubblico radiotelevisivo, con la stretta sulla pubblicazione delle notizie, le pressioni sui giornalisti d’inchiesta, la compravendita dell’Agi, l’attacco alla par condicio e alle fonti: l’insieme di queste cose delinea un fastidio per i controlli, i contropoteri democratici sanciti dalla Costituzione, al pari dell’attacco alla magistratura, ai poteri indipendenti e al contropotere dell’informazione».

«Stiamo discutendo – ha osservato Rossomando – del rapporto tra la libertà e il potere: questo interroga le democrazie moderne e la direzione che debbono prendere, se vogliamo chiamarle davvero democrazie liberali. Quando parliamo delle intimidazioni ai giornalisti parliamo del fatto che è inaccettabile che qualcuno decida cosa si può e cosa non si può dire, e che lo faccia chi è più forte, chi ha il potere». Ha concluso Serracchiani: «Spesso è capitato che provvedimenti di natura parlamentare si siano trasformati in atti dell’Esecutivo, con testi che sono giunti all’improvviso: questo governo ci sta abituando a una sorta di panpenalismo emozionale, spesso con una spinta repressiva e sanzionatoria molto forte che, rispetto a questa proposta, sembra assumere anche una volontà vendicativa verso i giornalisti. Oggi la destra, con questa iniziativa oltre che con altre, come la legge bavaglio o l’occupazione della Rai, lede quelli che sono i principi fondamentali. La nostra posizione è chiara a livello legislativo e comunicativo: vogliamo anche però sollecitare la destra italiana a intraprendere una strada diversa, che stia dentro i valori della Costituzione e nel quadro dei principi europei, nonché nel rispetto dell’equilibrio dei poteri. La libertà d’informazione non è negoziabile».