Secondo Matteo Orfini, ex presidente del Pd e oggi deputato, il governo «si è dimostrato inadeguato» sul pasticcio legato al Def, ed è «del tutto evidente che questo decreto propagandistico immaginato per il primo maggio è niente rispetto a quello che servirebbe a lavoratrici e lavoratori nel nostro paese». Poi giudica «sbagliate e incomprensibili» le scelte di Enrico Borghi e Caterina Chimici di lasciare il partito e passare a Italia viva e Forza Italia.

Onorevole Orfini, come giudica quanto accaduto in Parlamento sul Def?

Penso che nel governo ci sia un elemento di inadeguatezza. Nel senso che su un voto così rilevante non si può non avere la maggioranza richiesta e non averla perché non si è saputo garantire la presenza in Aula dei propri parlamentari. Un segno di inadeguatezza di quei parlamentari, del ministro per i rapporti con il Parlamento che è un fantasma sconosciuto al Parlamento stesso e del governo tutto.

Continuerete a battere su questo tasto anche in futuro?

Noi facciamo opposizione e quindi ogni giorno faremo il nostro dovere, cioè segnalare cioè che non funziona. Ad esempio è del tutto evidente che questo decreto propagandistico immaginato per il primo maggio è niente rispetto a quello che servirebbe a lavoratrici e lavoratori nel nostro paese. È dall’inizio della legislatura che proponiamo un’agenda in cui c’è un taglio rilevante del cuneo fiscale, il salario minimo, l’estensione delle tutele per i lavoratori che non le hanno, gli aiuti alle imprese e un piano di investimenti. La risposta è un decreto in cui c’è poco o nulla mentre in questi mesi si sono trovati soldi per risanare i bilanci delle società di calcio e per i condoni fiscali. Il governo, insomma, ha altre priorità.

E così voi portate avanti la strategia dell’Aventino, disertando la commissione Giustizia quando presiede Delmastro o il voto per le magistrature speciali. Fino a quando durerà?

Quello del Pd non è un Aventino, ma difesa del decoro delle istituzioni. Noi riteniamo Delmastro inadatto a svolere quella funzione, sia per come si è comportato sia per ciò che ha detto e fatto. In un paese normale si sarebbe dimesso e un governo normale lo avrebbe sostituito. Meloni in quell’occasione ha deciso di fare il capo partito e non la presidente del Consiglio e lo ha protetto. Noi non lo riteniamo degno del suo ruolo e quindi non partecipiamo alle seduta in cui lui rappresenta il governo.

Ieri maggioranza e opposizione sono quasi venute alle mani in Aula, dopo insulti e grida reciproci. Oggettivamente non è un bello spettacolo… Ieri in aula è successo che il capogruppo del principale partito del paese, dopo la figuraccia del Def, è venuto a provocare l’opposizione con un comizio di quart’ordine, in diretta televisiva, insultando il Pd ed esponenti importanti come Serracchiani. È chiaro che di fronte a un utilizzo così rozzo e spregiudicato del Parlamento abbiamo il dovere di segnalare la gravità di questi comportamenti ed è quello che abbiamo fatto.

Come si può in questo costruire un dialogo sul Pnrr, in queste settimane di discussione con l’Ue?

Noi ragioniamo sempre nell’interesse del paese, che è non perdere nemmeno un euro delle risorse che i governi precedenti hanno procurato al paese nella trattativa con l’Ue. Abbiamo chiesto al governo trasparenza e responsabilità. Trasparenza nel senso di chiarire quali progetti sono a rischio e come li si vuole preservare e salvare. Responsabilità nel senso di non agire facendo un danno al paese e quindi non perdendo quelle risorse. Si è giocato per mesi sulla governance per la gestione del Pnrr e questo ha prodotto i ritardi attuali.

In cosa manca il governo sulla gestione del Piano?

Siamo a un paradosso politico: sono quasi vent’anni che ogni governo ha il problema di gestire tagli e riduzione di spesa. Questo è il primo governo che grazie a chi lo ha preceduto ha la possibilità di spendere e investire. Ma siccome non è in grado di farlo accusa chi quelle risorse le ha reperite. Sono degli incapaci e se la prendono con chi li ha messi in condizioni di avere più risorse da gestire di tutti quelli che li hanno preceduti.

Come commenta i recenti addii al Pd di Enrico Borghi, per Italia viva, e di Caterina Chinnici, approdata in Forza Italia?

Penso siano state scelte sbagliate e onestamente incomprensibili. La scelta di Borghi, negli argomenti con cui l’ha spiegata, mi sembra figlia più di un pregiudizio che di un giudizio, visto che la segreteria Schlein praticamente non è ancora cominciata. E lo dice uno che ha votato Bonaccini. La scelta della Chinnici addirittura di passare a Forza Italia è ancor più discutibile, ma a onor del vero devo dire che alcuni già al momento della scelta di quella candidatura alla presidenza della Sicilia avevano espresso qualche perplessità e per questo erano stati molto criticati. Ecco, forse chi aveva espresso quelle criticità ci aveva visto giusto.

Eppure ci sono dei temi politici che vengono posti da una parte consistente del partito e ai quali Schlein dovrà rispondere: pensa si troverà un compromesso o ci saranno altre defezioni?

Penso che alcune critiche siano strumentali. Si criticano le presunte intenzioni più dei fatti, magari per acquisire uno spazio di visibilità o posizionamento nel Pd, che è assolutamente legittimo ma appunto strumentale. Poi ci sono delle sofferenze più sincere delle quali è giusto che la segretaria prima di tutti tenga conto, perché una vittoria come la sua ha sorpreso molto e da alcuni è vista con la preoccupazione che possa produrre uno snaturamento del Pd. Detto ciò, non credo che il Pd si esclusivamente la sua leadership. Ci stiamo abituando ai partiti personali e noi siamo l’unico partito vero rimasto, in cui c’è spazio per le idee di tutti. La sintesi alla segretaria non va chiesta sugli assetti ma sulla capacità di fare chiarezza sul terreno della proposta e del progetto politico del Pd. Io credo che su questo dovremmo sfidarci nel confronti interno, in un quadro che secondo me offre una grande occasione al nostro partito.

Pensa che Schlein abbia un profilo divisivo per un certo tipo di elettorato dem?

Sicuramente la sua è una leadership con un profilo chiaro e che ha restituito entusiasmo al Pd, ma quel che succede intorno a noi, cioè lo sfaldamento del terzo polo e le difficoltà dei Cinque Stelle, dimostra che un partito che sappia offrire un progetto di cambiamento al paese può recuperare forza e consenso. Il tema è come costruire una nuova centralità per tornare a essere un grande partito. Ma sia chiaro che io in questo Pd mi sento pienamente a casa.