Le divisioni sul catasto sono molto più che un campanello d’allarme, segnano il fallimento del tentativo del premier di riportare all’ordine la sua maggioranza

«Non può reggere», «non può che reggere» : due convinzioni opposte, contraddittorie e incompatibili albergano nell'animo collettivo della politica italiana. L'incidente sul catasto, con il governo salvato per miracolo dalla defezione di una delle formazioni minori del centrodestra, Noi con l'Italia di Maurizio Lupi, è qualcosa in più di un semplice segnale d'allarme. Segna il fallimento pieno e incontrovertibile del tentativo di Mario Draghi di riportare all'ordine la sua maggioranza.

Pochissime settimane fa il premier aveva convocato i capidelegazione dei partiti al governo e li aveva strigliati molto pesantemente: «Dovete garantire i voti in Parlamento per i provvedimenti del governo», aveva chiarito bruscamente facendo capire che senza questa garanzia il governo stesso avrebbe potuto passare la mano. I partiti, ed è significativo notarlo, non erano rimasti muti come d'abitudine. Avevano risposto per le rime chiedendo a loro volta un cambio di passo rilevante sostanziale nei rapporti tra palazzo Chigi, Parlamento e partiti.

Non erano solo discorsi teorici. Alle spalle c'era un governo battuto per sei volte, tra Camera e Senato, su diversi emendamenti. «Non deve ripetersi», aveva insistito Draghi. Non si è ripetuto, ma quasi per miracolo e in ballo, stavolta, non c'era qualche emendamento minore o d'importanza essenzialmente simbolica: c'era la riforma del catasto, interna alla delega fiscale. Il rischio, oltretutto, non era una vaga minaccia ma un preciso avvertimento: «Se l'articolo che contiene la riforma non passa il governo ritiene esaurito il suo mandato». Votatelo o è crisi.

La Lega, il resto del centrodestra tranne Lupi e la stessa Forza Italia, nonostante il parere contrarissimo della delegazione al governo e di un Gianni Letta espostosi come raramente gli capita, hanno scelto il rischio di crisi. Hanno mantenuto l'emendamento soppressivo della Lega e lo hanno votato.

La lista rumorosa degli scricchiolii non si ferma qui.

Per stornare la minaccia di crisi Draghi aveva chiamato direttamente Silvio Berlusconi, solo per sentirsi rispondere che le tasse, e in particolare quelle sulla casa, sono per il partito azzurro un elemento troppo qualificante per poter essere sacrificato, anche sull'altare della stabilità. Anche più allarmante la reazione della Lega, che ha annunciato l'intenzione di «riprendersi libertà d'azione», cioè di votare senza tener conto delle esigenze di stabilità del governo ma solo sulla base delle proprie scelte. Vuol dire, in concreto, che Draghi si trova precisamente nella situazione che aveva cercato di evitare con il monito ai capidelegazione e poi con il diktat sulla riforma del catasto: un governo a maggioranze variabili, destinato a rischiare su ogni provvedimento nevralgico. In una simile condizione di squilibrio costitutivo, ci vuole fede nei miracoli per non considerare inevitabile, nei prossimi mesi, un incidente grave.

Allo stesso tempo, però, nessuno tranne FdI considera credibile, e tento meno auspicabile, l'ipotesi di trovarsi senza governo e senza alcuna garanzia di stabilità in una fase che sarà infinitamente più difficile del previsto. È vero che l'Italia non dovrà fare i conti con l'assalto dei rigoristi europei, tacitato forse per sempre dalla guerra e dalla crisi che ne seguirà. Ma è anche vero che quella crisi, innestata su quella già dispiegata dei costi dell'energia e dell'inflazione, rischia di bloccare la ripresa.

Nella situazione di debito nella quale l'Italia si trova sarebbe esiziale anche senza dover scontare la resurrezione del Patto di Stabilità. Senza la guerra, la sorte del governo sarebbe stata segnata in pochi mesi. Ora tutto è molto più confuso e meno prevedibile In questa contraddizione l'Italia si troverà di qui al prossimo anno nella necessità di dar fondo a tutte le proprie notevoli riserve di fantasia politica. Questa legislatura ha già visto sorgere tre maggioranza politiche diverse, tutte imprevedibili sino a un attimo prima di nascere. Non è detto che la giostra si sia fermata e che l'ultimo, drammatico, scorcio di legislatura non possa riservare nuove sorprese.