«Revocare la concessione a chi per “incuria”, “omesso controllo”, “consapevole superficialità”, “brama di profitto” è responsabile di quei 43 morti è un dovere di uno Stato che ha come obiettivo la costruzione di un'identità nazionale». Alessandro Di Battista prende in prestito le parole scritte da Sergio Mattarella in occasione del primo anniversario della tragedia di Genova per invocare per l’ennesima volta l’estromissione della famiglia Benetton dalla gestione della rete autostradale italiana. Il Movimento 5 Stelle, del resto, ne ha fatto una questione di vita o di morte, convinto che consentire ad Atlantia di continuare a fare profitto con i caselli sarebbe un’offesa irreparabile ai familiari delle vittime.

Ma la questione è complessa e, soprattuto, le forze di maggioranza non marciano affatto nella stessa direzione. In special modo Italia Viva, che con Matteo Renzi, liquida l’ipotesi della revoca delle concessioni come semplicemente «impossibile», per gli eccessivi oneri a carico dello stato che una decisione di questo tipo comporterebbe.

La posizione dell’ex premier però non sposta di un millimetro Giuseppe Conte, che a questo punto vorrebbe chiudere in fretta la partita in tempi brevissimi, convinto che ci siano «tutti i presupposti» per togliere la concessione, «perché gli inadempimenti sono oggettivi, molteplici e conclamati. Quindi o arriva una proposta della controparte che è particolarmente vantaggiosa per lo Stato oppure procediamo alla revoca, pur consapevoli che comporta insidie giuridiche. Entro questo fine settimana». Ma la proposta arrivata da Carlo Bertazzo e Roberto Tomasi, amministratori delegati di Atlantia e di Autostrade per l’Italia, che ieri hanno incontrato ieri i capi di gabinetto del Mit e del ministero dell’Economia, per il governo resta totalmente inadeguata. La famiglia Benetton entro la fine della settimana dovrà presentare un nuovo piano che dia risposte esaustive su: risorse compensative, sanzioni in caso di inadempimento, manutenzioni e controlli, nuovo piano tariffario.

Perché all’indomani della pesante sentenza della Consulta che bocciato il ricorso del concessionario e definita legittima l’estromissione di Aspi dai lavori per ricostruzione del ponte di Genova la posizione contrattuale della società è fortemente indebolita. E il titolo in Bora affondato. Secondo i calcoli del governo, definiti col decreto Milleproroghe, l’indennizzo non potrà essere superiore ai 7 miliardi di euro, corrispondenti all’ammortamento degli investimenti messi a bilancio, e non ai mancati introiti ( 22 miliardi nella migliore delle ipotesi) come prevede il contratto di concessione. Unica alternativa alla revoca: il passaggio della maggioranza di Autostrade allo Stato, con l’ingresso in società di Cdp e F2i, che controllerebbero così il 51 per cento di Aspi a discapito di Atlantia, attualmente socio all’ 88 per cento. Per arrivare a un accordo, tuttavia, è necessario l’accordo sul prezzo tra venditore e acquirente. Ma è proprio su questo che le posizioni sono più distanti.

Il Pd resta timido di fronte alla revoca, lascia che siano i grillini a intestarsi la battaglia mantenendo un basso profilo. Tra i pochi a prendere posizione, il sottosegretario all’Ambiente Roberto Morassut, per il quale togliere le concessioni ad Aspi «non è impossibile, ma per farlo occorre una forte attrezzatura giuridica e formale, perchè il rischio contenzioso a danno dello Stato è elevato», dice l’esponente dem. «Se si va allo scontro bisogna andarci armati altrimenti tutto diventa un grande regalo al concessionario, qualora inadempiente ma non al punto di poter subire tale revoca».

La partita è tutta da giocare, ma il Movimento 5 Stelle non sembra disposto a concedere sconti ai Benetton. Lo ribadisce senza giri di parole Alessandro Di Battista, che da tempo prepara la scalata al suo partito battendo anche sulla questione Autostrade. «Revocare non per vendetta ma per ribadire quel potere di autotutela che lo Stato ha il dovere di esercitare nell'interesse del Popolo e della sua sicurezza», dice Dibba. «Revocare non serve come punizione ai Benetton di ieri ma come monito ai Benetton di domani!».