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MICHELE EMILIANO PRESIDENTE REGIONE PUGLIA
Ed ora cosa farà Michele Emiliano? In attesa del 2027, quando Elly Schlein ha già fatto sapere che lo candiderà alle elezioni politiche, per il governatore uscente della Puglia si profila un futuro professionale quanto mai a tinte fosche. Per l’ex pm della procura del capoluogo pugliese è infatti pronta la terribile tagliola della legge Cartabia che impedisce il rientro in magistratura alle toghe che hanno terminato il mandato elettivo. Quindi non più pm ma un incarico “fuori ruolo” a via Arenula come collaboratore del ministro della Giustizia Carlo Nordio.
Emiliano, va detto, è da circa 20 anni lontano dalle aule di giustizia, prima come sindaco di Bari e poi come presidente della giunta regionale pugliese. A suo carico venne aperto una decina di anni fa un procedimento disciplinare. Procedimento a dir poco lunghissimo che si era concluso con l’ammonimento, la più blanda delle sanzioni previste per gli illeciti commessi dai magistrati. Il presidente della Regione Puglia era accusato di essersi iscritto al Pd in contrasto con quanto indicato nelle norme che vietano ai magistrati l’appartenenza ad un partito politico.
L’iscrizione di Emiliano al Pd risaliva addirittura al 2007, quando il magistrato barese era stato eletto segretario regionale dei Democratici in Puglia. Dopo essere stato segretario, dal 2009 al 2014 Emiliano era diventato presidente del Pd pugliese per poi essere nuovamente eletto segretario regionale. Solamente ad ottobre del 2014, dopo una girandola di incarichi ed un’istruttoria durata undici mesi, il procuratore generale della Corte di cassazione aveva messo nel mirino l’iscrizione di Emiliano al Pd, chiedendo al Csm la fissazione dell’udienza di discussione.
Il dibattimento, come detto, era stato alquanto complesso, caratterizzato da vari rinvii e cambi di difensore. Ad un certo punto era stato sollevato anche il conflitto di legittimità davanti la Corte costituzionale relativamente alla norma che vieta appunto ai magistrati l’iscrizione ai partiti politici. La questione di legittimità costituzionale fu ritenuta infondata con la sentenza 170 del 4 luglio 2018 che aveva confermato il divieto di iscrizione ad un partito sia per i magistrati in servizio che per quelli, come Emiliano, fuori ruolo. Appresa la decisione della Consulta Emiliano aveva subito dichiarato di non più voler più rinnovare la tessera del Pd una volta scaduta. Una decisione “dolorosa ma inevitabile” affermò a caldo, precisando che comunque continuava “a supportare in ogni modo in cui mi venga richiesto” il partito.
«Quando ho guidato il Pd ho sempre vinto», aveva poi aggiunto baldanzoso. Con il mancato rinnovo dell'iscrizione al Pd Emiliano era stato però immediatamente escluso dall'Assemblea e dalla Direzione nazionale dem. Nel 2017 Emiliano, per non farsi mancare nulla, Emiliano aveva anche sfidato Matteo Renzi, candidandosi senza successo alla Segreteria nazionale del Pd. L’esito delle primarie non era stato dei più felici: solo 197mila voti su un milione e 838mila. La sentenza disciplinare era arrivata nella scorsa consiliatura. Il collegio giudicante era presieduto dal laico del M5s Fulvio Gigliotti, in sostituzione del vice presidente del Csm David Ermini (Pd) che per ovvi motivi di opportunità aveva deciso di astenersi.
Ad assistere Emiliano nel disciplinare vi era Armando Spataro, ex procuratore di Torino, secondo il quale l’attuale sistema elettorale del comparto regioni-autonomie locali, con l’elezione diretta del vertice dell’amministrazione, aveva accentuato la riconoscibilità politica del candidato rendendo, di fatto, molto difficile la sua non appartenenza ad un gruppo politico ben definito. Quindi sarebbe stato improbabile fare il sindaco o il presidente di una regione senza essere iscritti ad un partito politico.
Durissimo il commento all’epoca del laico forzista Pierantonio Zanettin, attuale capogruppo degli azzurri in Commissione giustizia al Senato: «In nessun Paese europeo, visto che spesso amiamo confrontarci con le altre realtà, sarebbe solo lontanamente immaginabile che un magistrato in carriera possa essere candidato alla guida di un partito politico. Grande o piccolo che sia».