Impossibile resistere alla mozione degli affetti. Forza Italia è uscita dalla lunga riunione di segreteria di ieri con un messaggio piuttosto semplice: sulla riforma della giustizia il partito non solo rivendica la primogenitura politica, ma si prepara a una campagna referendaria identitaria, costruita per ribattere «alle gigantesche fake news» diffuse dal fronte del No.

Antonio Tajani ha presieduto tre ore di confronto da cui è nato un documento che diventa, di fatto, il manifesto azzurro per i prossimi mesi: separazione delle carriere come bandiera storica, orgoglio berlusconiano rivendicato senza esitazioni, e una strategia che parte prima degli altri. Già da gennaio, infatti, i gazebo saranno piazzati «in tutta Italia», come ripetono i dirigenti, per una mobilitazione definita «capillare e appassionante» . Nel testo approvato, l’identità del progetto è scolpita nero su bianco: una giustizia «più equa e credibile», un giusto processo fondato sulla parità effettiva tra accusa e difesa, due Consigli superiori separati – giudicante e requirente – e un’Alta Corte disciplinare che intervenga davvero «quando chi sbaglia deve essere sanzionato».

Non è solo un elenco tecnico: è la riaffermazione di una battaglia che Forza Italia considera ereditaria. Lo ricorda la nota, lo ripetono tutti i dirigenti: già nel 2011 Silvio Berlusconi firmò il disegno di legge che avrebbe anticipato i pilastri della riforma attuale. Una linea che Tajani definisce «naturale per il Paese» e che ora, chiusa la fase parlamentare, entra nel terreno potenzialmente più insidioso – quello del voto popolare.

Il partito, però, vuole arrivarci organizzato. La campagna sarà “a doppio binario”: un fronte ufficiale dell’organizzazione azzurra e un sostegno diretto alla rete dei comitati civici “Cittadini per il Sì”, presieduti da Francesca Scopelliti.

Non un dettaglio marginale, perché l’intento è duplice: presidiare il terreno politico e lasciare che la società civile porti la battaglia oltre i confini di partito, con volti scelti tra le vittime di errori giudiziari, avvocati, docenti universitari. Nessun politico, almeno nella fase iniziale. La segreteria ha affidato a Enrico Costa e Pierantonio Zanettin il compito di monitorare l’espansione dei comitati, mentre la macchina organizzativa sarà spinta al massimo da Giorgio Mulè, nominato da Tajani responsabile operativo della campagna.

L’impianto delle iniziative non mancherà di quantità: Francesco Paolo Sisto parla di un piano «composito e articolato», fatto di eventi territoriali, convegni, manifestazioni e soprattutto «massima libertà» per i militanti. L’obiettivo è di essere presenti ovunque, anche «con un comitato per il sì di quartiere». La retorica è quella di una missione che Forza Italia sente propria: «È nel nostro Dna», ribadisce il viceministro, che non nasconde la necessità di un confronto serrato con gli avversari, accusati di costruire narrative distorte sulla riforma.

A metà gennaio partiranno i primi gazebo, poi gli eventi simbolici, a cominciare da Milano e Roma. Licia Ronzulli conferma che si punta anche su Napoli, con un calendario che, non a caso, potrebbe incrociare la ricorrenza della discesa in campo di Berlusconi, il 26 gennaio 1994. Un richiamo identitario che Forza Italia considera una leva mobilitante, utile a dare continuità politica a una battaglia che vuole presentarsi come coerente con la storia del partito.

Resta invece in sospeso il nodo del coordinamento unitario del centrodestra. Il famoso “comitatone”, evocato da giorni, resta una traccia ancora indefinita: se ne è parlato en passant, ammette Sisto, e Ronzulli conferma che l’ipotesi è quella di una struttura composta da figure non politiche, magari suggerite dai partiti ma formalmente esterne. Una cabina di regia che, se mai vedrà la luce, dovrà incastrarsi con l’autonomia operativa dei comitati civici e con la campagna di partito. Per ora, nulla di più.

Forza Italia, insomma, sceglie la via della mobilitazione anticipata e del radicamento territoriale, convinta che la battaglia referendaria si giochi su un equilibrio delicato: difendere una riforma simbolo, respingere le accuse del fronte opposto e trasformare un voto confermativo in un’occasione di rilancio politico-identitario. Tajani lo ripete come un mantra: «Siamo stati i primi a volerlo». Ora bisogna dimostrarlo sul campo.