Siedono allo stesso tavolo, trattano, giurano di voler affrontare le urne fianco a fianco, anche se con quale formula resta avvolto nel mistero, promettono di governare insieme, ma ciascuno sospetta l’altro di tenere il piede anche in un’altra staffa ed entrambi hanno ragione. Si parla di Forza Italia e della Lega, di Silvio Berlusconi e di Matteo Salvini, dei partiti che hanno governato l’Italia per una decina d’anni e che, a sorpresa, si ritrovano adesso tra le mani la possibilità di tornare a governarla.

Le cose però sono cambiate, la leadership di Berlusconi è fuori tempo massimo, quella di Salvini quasi impresentabile, la legge elettorale è ballerina e obbliga a giocare senza sapere quali sono le regole cui è sottoposta la partita. Ma soprattutto non c’è più l’Italia bi- polarista, neppure nelle forme slabbrate e sgangherate con le quali si era realizzato il bipolarismo all’italiana. Adesso le forze maggiori sono tre, considerano la destra unita, più due pattuglie di incerto peso numerico ma probabilmente non irrilevanti, il centro e la sinistra. Si marcia nella nebbia, ed è ovvio che i generali si tengano in tasca una strategia di riserva, salvo accusare il socio di fare quel che loro stessi allegramente praticano.

Silvio Berlusconi al governo ci tornerebbe volentieri con Salvini e donna Giorgia: una bella legge col premio di coalizione la appoggerebbe di corsa. Ma non è nato ieri e nel teatrino della politica è un veterano. Sa che quella strada sarà difficilmente aperta e a puntare tutto su un numero secco non ci pensa affatto. Dunque rintuzza ogni ipotesi che lo blinderebbe troppo. Salvini, per esempio, gli ha già fatto sapere di non mirare alla leadership. Nemmeno lui è imberbe e sa benissimo che significherebbe ripetere il copione già visto in Francia, Olanda e Austria: tutti uniti contro “il populista”. Ma Silvio finge di non sentire: il contenzioso sulla leadership gli serve a non bruciarsi ponti alle spalle. La lista unitaria, con la legge che è e probabilmente resterà in vigore, potrebbe ambire al 40% con premione annesso. Neppure di questa il sovrano di Arcore vuol sentire parlare: gli legherebbe le mani e impastoierebbe i piedi. Insomma, per Arcore tutto va bene, purché resti aperta, anzi spalancata, la porta per un accordo con Renzi, e naturalmente senza Lega, dopo le elezioni.

I leghisti, nell’ultima settimana, hanno iniziato a bersagliare il papabile alleato proprio battendo su questa nota dolente, la mai interrotta relazione col ragazzo di Rignano. «Com’è che, pur dall’opposizione, hanno votato nel 64% dei casi col Pd?», incalzava giorni fa il capo dei senatori Centinaio. E’ una strategia decisa. Se si andrà alle urne con una legge modello “tutti contro tutti”, il Carroccio punterà a scippare quanti più voti possibile agli azzurri proprio rinfacciandogli i continui civettamenti col Pd di Renzi.

Ma lo stesso Salvini cova propositi non molto diversi. Se dopo il voto si materalizzerà un ponte per le stelle, o più precisamente per le cinque stelle, è deciso a percorrerlo. Non tutto il suo stato maggiore concorda. Non la pensa così Centinaio, che coi 5S ha a che fare al Senato tutti i giorni e vede l’ipotesi di governarci insieme come un romanzo di Stephen King, ma di quelli tosti. Non la pensa così neppure Giorgetti, che nel Carroccio del nuovo millennio è un po’ la testa pensante. Salvini però è deciso: se i numeri non permetteranno una maggioranza di centrodestra si tenterà la carta a cinque stelle.

Ecco perché i due capi della destra italiana si presentano sì formalmente alternativi sia all’ex premier toscano che all’ex comico ligure, ma i toni sono tanto diversi da risultare rivelatori. Berlusconi sfiora appena il Pd e si propone come «diga contro il populismo dell’M5S» : formula identica a quella adoperata da Renzi, salvo il particolare che il segretario del Pd aggiunge al mazzo populista anche Salvini. Il quale, a sua volta, va giù d’ascia quando si parla di Pd e passa alle punture di spillo quando se la prende con i ragazzacci di Grillo.

Insomma le prossime elezioni, salvo enormi e poco probabili cambiamenti all’ultimo momento, vedranno due fronteggiamenti incrociati al posto di uno, quello classico centrosinistra- centrodestra, e quello inedito fronte antisistema ( M5S- Lega e probabilmente Fdi) contro fronte “responsabile” ( Pd, Fi e centristi). Con in agguato il rischio che nessuna delle due partite finisca con un vincitore.