Il livello di tensione toccato nel corso del tavolo fra Draghi e i sindacati nell'incontro- scontro di martedì scorso non lo prevedeva nessuno. Eppure gli estremi c'erano tutti e ancora ci sono. Per rintracciarne lo origini, però, bisogna prendere qualche distanza dalla sfida posticcia o comunque fuorviante in corso intorno a quota 100. Il ritornello della Lega, ma non solo della Lega, è «non si deve tornare alla Fornero». La risposta di chi difende la scelta di Draghi di sopprimere quota 100 è speculare: «Non si tratta di un ritorno alla Fornero». Impossibile non ritenere dunque che quella riforma, imposta dall'Europa e dunque anche da Draghi con le cattive nel 2011, sia stata nel frattempo abbandonata e superata.

Nulla di più lontano dalla realtà. Quota 100 non è stata in nessuna misura un superamento della Fornero. È stata una classica “finestra” che ha permesso a molti lavoratori di andare in pensione prima ma che aveva limiti molto seri perché avvantaggiava alcuni lavoratori a scapito di altri, soprattutto i maschi rispetto alle lavoratrici, e non poteva garantire, nonostante le roboanti promesse di Salvini, nessun nuovo posto di lavoro in cambio del cospicuo esborso. Immaginare infatti che l'uscita di un lavoratore assunto a tempo indeterminato avrebbe spinto le aziende ad assumerne un altro, o addirittura altri tre come profetizzava il capo della Lega, era fuori dalla realtà. L'imporsi dilagante del lavoro a tempo determinato e la diminuzione della domanda di lavoro rispetto all'offerta sono infatti elementi propri di una modifica strutturale del mercato del lavoro che non poteva essere neppure scalfita dall'apertura di una finestra triennale nelle maglie della Fornero.

Il problema che si pone al sindacato è questo e sarebbe un errore esagerare il peso della “competizione” con Salvini nelle sue scelte. Il nodo è molto più serio e aggrovigliato. Il sindacato ha bisogno di una vera riforma delle pensioni non solo perché i pensionati sono ormai la sua base più numerosa ma anche perché sa perfettamente che i criteri della Fornero non solo non miglioreranno la situazione dei giovani, come favoleggia la retorica delle prossime generazioni sacrificate per consentire agli anziani di andare in pensione ancora relativamente giovani, ma, al contrario, colpirà proprio i più giovani che faticheranno sempre più ad accumulare gli anni di contributi necessari per arrivare alla pensione. In prospettiva, dunque, è l'intera situazione della forza lavoro, non solo quella degli anziani di oggi, a essere minacciata.

Infine pesa una questione di ruolo. La fuoriuscita da quota 100 è un'uscita minore nella prossima legge di bilancio, appena 600 milioni sui 23,4 miliardi. Il peso politico però non si conta solo con le mazzette di euro. Un po' per il ruolo di visione strategica che veicola, un po' per l'immensa valenza simbolica, decidere sulle pensioni sulla testa dei sindacati e ignorando le loro richieste prefigura un intero sistema di relazioni industriali che vede le organizzazioni dei lavoratori messe ai margini. Si può capire dunque la resistenza delle confederazioni alle scelte adottate non dalla politica ma dalla tolda di comando tecnica che all'interno del governo detiene il potere decisionale reale.

Il problema è che la situazione di Draghi è uguale e opposta. La strategia che passa per la conferma della Fornero cioè il contenimento drastico della spesa per le pensioni considerata improduttiva, è tanto sua quanto del resto dell'establishment europeo. Il momento per rimettere in discussione quella strategia è effettivamente tra i peggiori. In cambio della politica espansiva che Draghi ha in mente Bruxelles chiede segnali chiari: miglioramenti sia pur limitati sui fronti del debito e del rapporto deficit/ Pil, scelte coerenti con la visione della Ue su vari fronti e primo fra tutti proprio quello delle pensioni.

Si aggiunge probabilmente una distanza abissale nella formazione e nelle abitudini. I sindacati vengono dalla tradizione della politica italiana, fatta di continue ed estenuanti mediazioni. Draghi è un banchiere e tende a tagliar corto. Martedì scorso a palazzo Chigi si sono scontrate due diverse visioni della società italiana e due mondi distinti. Ma se la frattura non sarà ricucita a farne le spese per primo sarà il Pd che non può certo permettersi scontri con Draghi. Ma neppure con la Cgil.