PHOTO
D'Alema, D'Alema... Croce e delizia del popolo di sinistra, poi sempre più croce e ora di nuovo delizia. D'Alema che difende la Costituzione. D'Alema che attacca Matteo Renzi con un vigore, e anche un livore, che l'era Bersani aveva cancellato persino dal ricordo. Ma come, proprio lui che la Carta voleva riscriverla per intero e da presidente della bicamerale c'era andato vicino adesso si mette a far quadrato intorno alla «Costituzione più bella del mondo? » Non è quello il problema, replica l'ex quasi-costituente. Il guaio è «l'aver spaccato il Paese in due sulla Costituzione che dovrebbe essere condivisa». Appunto che fa il paio con l'accusa gemella di aver «diviso il partito».E' un ipocrita l'ex leader massimo, uno che adopera misure e pesi opposti a seconda della propria posizione? Qual è il vero Massimo D'Alema: quello che faceva sognare la sinistra con nel cuore ancora la falce e il martello tra la fine degli anni ?80 e i primi ?90 o quello che la ha straziata dieci anni dopo conquistando palazzo Chigi per la strada più ambigua e torbida e di lì bombardando la Serbia come uno yankee qualsiasi?Né l'uno né l'altro. D'Alema è D'Alema, e così com'è bisogna prenderlo o rifiutarlo. Di certo la via che aveva scelto per riscrivere la Carta era opposta a quella dell'attuale inquilino di palazzo Chigi. La bicamerale non era quella Assemblea Costituente che oggi lo stesso D'Alema indica come il suo modello, peccato non aver mosso un dito a suo favore quando aveva la forza e il potere per farlo, ma ci andava almeno vicino. Checché se ne pensi nel merito, per la loro riforma costituzionale Renzi e la ministra Boschi hanno invece sprecato meno tempo e meno diplomazia che per molte altre riforme, a partire dalle unioni civili, quasi che rimaneggiare la Costituzione fosse un esercizio da sbrigare di fretta e senza mediare con nessuno. Altrettanto certamente, il D'Alema segretario cercava di non lacerare il partito che guidava, preoccupazione che nella lista delle urgenze di Matteo Renzi figura invece in coda alla classifica.La replica, affidata di solito proprio a quelli che all'epoca di D'Alema erano intimi e adesso spasimano per Renzi, è nota: proprio quelle preoccupazioni hanno frenato il campione coi baffetti, gli hanno impedito di portare a termine la sua missione innovatrice che in fondo, a guardar bene, non era poi così diversa da quella che persegue il toscano giovanotto.Ma è davvero così? Negli obiettivi di fondo, se non nei metodi, D'Alema anticipava davvero la crociata renziana? Difficile negare che qualche argomento solido a sostegno della tesi possa essere addotto. Lo scontro durissimo con la Cgil di Sergio Cofferati può ricordare davvero quello ingaggiato quasi vent'anni più tardi da Renzi. Salvo un particolare non proprio secondario: D'Alema mai si sarebbe sognato di arrivare a una rottura totale tra il partito erede del Pci e il sindacato. In fondo l'ex comunista e l'ex ragazzo cattolico del Partito popolare condividono il medesimo punto di riferimento sullo scenario internazionale della storia recente: quel Tony Blair che piaceva tanto ai dirigenti dei Ds quanto a quelli attuali del Pd, epperò capita che non dispacesse affatto neppure alla vecchia squadra di Margaret Thatcher. Particolare che doveva e ancora dovrebbe destare allarme rosso.Certo, ogni tanto il leader dei Ds "qualcosa di sinistra" la diceva. All'inizio del 1998, l'anno fatale per l'intera sinistra italiana, per esempio: le critiche con cui martellava il governo Prodi, in quella primavera, erano tutte esplicitamente "da sinistra". Però poi, una volta caduto il professore, al governo D'Alema ci andò con Francesco Cossiga e Clemente Mastella.Eppure, nonostante tutto questo, hanno torto quelli che vedono in Renzi una specie di D'Alema libero dai vincoli dell'unità del partito o della ricerca della mediazione. Perché Massimo D'Alema ha inscritto nel dna in modo indelebile il marchio del Pci, partito che riusciva a sostenere qualsiasi politica, incluso il rigore degli anni ?70, restando sinceramente convinto di approdare, per rotte tortuose, a spiagge di sinistra, a miglioramenti sostanziali nella condizione "delle masse".In questo senso, D'Alema, al di là delle specifiche e spesso contraddittorie scelte politiche, è l'ultimo esponente del Pci. Quel "popolo di sinistra" che era stato sino a poco prima il popolo del Pci, lo sentiva a pelle. Per questo ha amato D'Alema, nonostante tutto, più di qualsiasi altro leader della sinistra nella seconda Repubblica. Per la stessa ragione, una volta deluso e disilluso, gli ha perdonato molto meno di quel che era ed è abituato a perdonare a tutti gli altri.Nella crociata di D'Alema contro Renzi confluiscono diverse motivazioni, tutte palesi ed evidenti: alcune politiche, molte altre personali. Non è escluso che ce ne sia anche una meno vistosa: la voglia di riscattarsi dall'ombra politica che per la gente di sinistra grava su di lui dall'inizio del millennio e che va oltre le sue pur robuste responsabilità.