Nella ex “regione rossa” la destra amministra sette capoluoghi di provincia su dieci

Il centrosinistra ha vinto la sfida ai ballottaggi con il centrodestra nelle grandi città. E fin qui non ci piove, se è vero che ha strappato agli avversari città come Verona e Catanzaro, vincendo con ampio scarto a Parma e di poco, ma significativamente, a Piacenza, Alessandria e Monza. Sì, Monza, pieno centro produttivo lombardo e potrai di Silvio Berlusconi, che nell’ultimo comizio a sostegno del candidato sindaco di centrodestra si era lasciato andare a una profezia dicendo che Forza Italia alle prossime Politiche andrà oltre il 20 per cento. Non ha portato benissimo. Soprattutto erano altri tempi quelli in cui Fi era perno centrale di una coalizione capace di unire che ora, spesso divisa, ha perso laddove di solito vinceva. E ha perso a vantaggio del centrosinistra che un partito perno invece ce l’ha, ed è il Pd di Enrico Letta. Sole di un universo chiamato campo largo e calamita di voti tra primo e secondo turno, un esempio per tutti il ribaltone di Catanzaro dove Fiorita, del centrosinistra, ha recuperato oltre 12 punti percentuali a Donato, del centrodestra, e l’ha stracciato al ballottaggio. Quel che emerge sa questo secondo turno, e dalla tornata elettorale in generale, è che il campo largo esiste. E vince anche senza il Movimento 5 Stelle, che nel voto locale è storicamente andato male, tranne l’exploit delle vittorie a Roma e Torino con Appendino e Raggi, ma che questa volta è praticamente scomparsi. Causa le beghe interne ai 5S, con Grillo giunto ieri a Roma e il divorzio ormai compiuto tra Conte e Di Maio, non sarà facile per Letta continuare l’alleanza, numericamente ancora necessaria per cercare di battere il centrodestra. Sempre che i pentastellati riescano a tenere nei voti al Sud, dove nel 2018 ottennero quasi la metà dei consensi e nelle Amministrative si sono presentati, ad esempio in Sicilia, in quattro comuni su 120 al voto.

Ma intanto Enrico Letta può esultare e al tempo stesso guardarsi attorno, perché quando dopodomani si troverà di fronte la direzione, convocata per «l’analisi del voto e le prospettive politiche delle elezioni amministrative» prima o poi verrà fuori quella parola che nessuno dalle parti del Nazareno vuole pronunciare in queste ore: Toscana. Ovvero la regione storicamente rossa e che con la sconfitta del centrosinistra a Lucca vede ora amministrati dal centrodestra 7 capoluoghi di provincia su 10. Un’enormità, e qualcosa di difficilmente tollerabile per il toscano Letta. «Il centrosinistra e il Pd vincono bene i ballottaggi in molte città italiane, in Toscana invece il trend positivo non è evidente. Ha scritto su Facebook l’ex presidente della Regione, Enrico Rossi - Dopo aver perso di nuovo Pistoia, perdiamo anche Lucca: la situazione è seria e molto critica ed è necessario, con serenità, discutere e trovare gli strumenti e gli argomenti per rilanciare il centrosinistra e rafforzare il Partito democratico».

Una riflessione amara rilanciata dalla segreteria del Pd toscana, l’eurodeputata Simona Bonafè. Che si è detta «delusa» per il risultato di Lucca. «Il nostro candidato ( Francesco Raspini, ndr) non sarà sindaco per pochi voti - ha detto Bonafè - lascia l’amaro in bocca la vittoria della destra, nonostante un percorso lineare che ha visto elezioni primarie per la scelta del nostro candidato sindaco». Certo è che, numeri alla mano, il ribaltone nelle regione tradizionalmente a favore dell’uno o dell’altro schieramento non riguarda solo la Toscana, se è vero che in Lombardia 9 capoluoghi di provincia su 12, comprese le vittorie di domenica, sono amministrati dal centrosinistra. Eppure, tutto questo “blu” in Toscana non si era mai visto, e anche di questo si discuterà per mettere le basi del campo largo alle prossime Politiche. «C’è una visione collettiva che vogliamo consolidare per un progetto verso il 2023 in cui è chiaro che o si sta di qua o si sta di là - ha spiegato Francesco Boccia, responsabile Enti locali del Pd - Siamo riusciti a vincere a Verona e Catanzaro, due città con una tradizione forte dei conservatori, e a Verona, in maniera imbarazzante, anche il vescovo è sceso in campo: qui essere riusciti a vincere in maniera netta dà il senso di cosa intendiamo noi con unità dei progressisti e riformisti, cioè che si può vincere a casa della destra a cui noi saremo sempre alternativi».