Altro che campagna elettorale per i ballottaggi. Silvio Berlusconi «ha rischiato di morire», taglia corto il suo medico personale, Alberto Zangrillo. Dunque si deve operare: gli va sostituita una valvola aortica. Lo vanno a trovare i familiari e il fidatissimo Nicolò Ghedini ma - prima dell’annuncio dell’intervento - quando si presenta Denis Verdini il semaforo si fa rosso. Renato Brunetta continua ad agitare sondaggi che allo stato danno in netto e consolidato vantaggio il No al referendum costituzionale. Il “modello Milano” continua ad essere evocato come l’unico percorso vincente, ma intanto Salvini insiste a fare di testa sua e si mette a braccetto dei 5 Stelle per battere Renzi al secondo turno amministrativo.E’ la fotografia - questa sì volendo usare un pizzico d’ironia, tripolare, o, più seriamente, a tre facce - di un centrodestra che vive un singolare paradosso: da un lato essere insistentemente evocato dal presidente del Consiglio come l’avversario più pericoloso, l’unico schieramento che ha chances di vittoria nella decisiva sfida dell’Italicum alle elezioni politiche per il governo del Paese; e dall’altro di sfrangiarsi continuamente, dilaniato dalle iniziative unilaterali dei singoli partiti e infognato nell’eterna querelle su chi debba guidarlo, alla luce di un declino berlusconiano che però procede a tempi di moviola: «Vuole arrivare fino a 130 anni», sussurra maliziosamente Zangrillo.Partiamo a ritroso dalla faccia numero 3. Il modello Milano, se vogliamo essere concreti, ha una sola specificità: che contiene l’Ncd di Alfano come quarta gamba per stabilizzare il tavolo. E’ la novità più rilevante e politicamente impegnativa rispetto all’istantanea ormai color seppia di Bologna, quando sul palco c’erano Silvio, Matteo e Giorgia e basta. Ma è un modello esportabile oltre i Navigli? A occhio, sembra di no. Almeno stando alle incursioni piratesche di Salvini, ultima delle quali - dopo il “paso doble” romano in compagnia della Meloni - l’aiutino a Grillo per battere Renzi nei ballottaggi. Ovvio che per Fi, che pure qua e là per l’Italia qualche strizzatina d’occhio ai Cinquestelle non la nega, si tratta di un abbraccio impraticabile. Ancora più ovvio che per Alfano è veleno allo stato puro: intese con i grillini sono impossibili. Così si torna al punto di prima: per fare Milano serve l’Ncd che però, se le cose sono queste, non ci sta.Sicuro? Beh, se teniamo per un secondo Salvini sullo sfondo, non è un mistero che AP si traversata da inquietudini non trascurabili. Alle quali ha dato voce il sottosegretario all’Economia, Tonino Gentile, accusando Alfano di essere troppo cedevole verso Renzi: «Se non cambia la legge elettorale, non ci resta che tornare da Berlusconi». Effettivamente il nuovo meccanismo (sempre se passa: si vedrà al referendum) consiglierebbe di schierarsi con l’uno o con l’altro contendente. Ma è uno scenario che Alfano rifiuta. Non a caso ha annunciato per ottobre un tagliando che altro non è che il modo per lanciare un’Opa su tutte le forze centriste e moderate, riunirle, e presentarle assemblate - sotto la sua leadership? - al lavacro elettorale. Quanto ai malpancisti interni, il titolare dell’Interno ha risposto in maniera indiretta, ma palese, attraverso le congratulazioni rivolte a Giacomo Portas per «l’ottimo risultato» ottenuto a Torino: «E’ un bottino che supera, in termini di consenso, FI e Lega, dimostrando che l’area dei moderati è fortemente sentita dai cittadini». Piuttosto chiaro, no?La faccia numero 2, quella del referendum costituzionale, è come Giano: guarda all’opposto della precedente. Nel senso che a ottobre a battersi per il No, Lega e Forza Italia si ritroveranno a braccetto mentre Ncd starà sulla barricata opposta. Lì non ci sono mediazioni possibili: è lo stesso strumento referendario a renderle impossibili. Ma se il referendum viene bocciato come assicura Brunetta, prima di andare alle elezioni bisognerà rimettere mano alla legge elettorale. I centristi si batteranno per confermare la «vocazione maggioritaria» che a quel punto rischierebbe di consegnare il Paese ai Cinquestelle oppure ripiegheranno, presumibilmente in questo caso affiancati dall’ex Cav, su meccanismi più proporzionali che offrono maggiori margini di manovra? O ancora. E se invece vince il Sì e si va a votare con l’Italicum nel 2017, l’Opa alfaniana sceglierà un versante o rimarrà in mezzo al fiume puntando a superare lo sbarramento del primum vivere?Resta la faccia numero 1. Che, naturalmente, non può essere che quella di Berlusconi. Gli auguri che si rimetta presto sono arrivati da tutti, a cominciare da Renzi. Ma è stato lo stesso Silvio, nelle settimane scorse, a dire chiaramente che in vista dei prossimi passaggi politici ritiene di volersi ritagliare il più agevole ruolo di king maker, non più il troppo divisivo e impegnativo di candidato premier. Ora c’è di mezzo anche il cuore bizzoso. Insomma si cambia. Per come si è sviluppata la storia del centrodestra in Italia, è una svolta epocale. Calma, bisogna trovare il nome, e non è per nulla facile: Berlusconi finora ha concepito come sostituti solo cloni di sè stesso. Però il tempo passa, le cose che stanno sotto il cielo mutano. E, stando all’orologio della politica tricolore, anche piuttosto velocemente. Un esempio? Alzi la mano chi poteva immaginare anche solo poche settimane fa ci fosse un palco dove una volta salito Matteo Renzi venisse sonoramente fischiato. E’ successo ieri, all’assemblea della Confcommercio. Fortunatamente per il premier, in platea nessuno aveva un lanciafiamme.