«Sono tutti giornalisti, saranno qui per la conferenza stampa della Meloni…». «È partito il tototailleur: voi che dite, rosso o rosa pastello?». Alle dieci, quando manca un’ora all’inizio del “duello” tra la presidente del Consiglio, che arriverà in giacca di velluto beige, e i cronisti, via di Campo Marzio è già gremita di fotografi e cineoperatori, confusi coi turisti che ancora affollano Roma per le festività natalizie.

Spunta anche una pistola ad acqua, prequel di quello che sarà uno dei temi più caldi del botta e risposta tra l’inquilina di palazzo Chigi e i giornalisti, e che durerà quasi tre ore. E l’inizio è subito scoppiettante con i saluti del presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli, che spiega di «condividere» la protesta dell’Fnsi sulla cosiddetta “legge bavaglio”, «che rischia di far calare il sipario sull’informazione giudiziaria». Pronta la risposta di Meloni, secondo la quale «la manifestazione (dell’Fnsi, ndr) sotto palazzo Chigi per un’iniziativa che non è del governo avrebbe dovuto tenersi sotto il Parlamento, visto che si tratta di un’iniziativa parlamentare». Ma poi dice anche che lei «non avrebbe preso» l’iniziativa di adottare quel provvedimento, rifiutando tuttavia l’appellativo di “legge bavaglio” a meno che non si dica che la stampa è stata imbavagliata fino al 2017».

Insomma la presidente del Consiglio allo stesso tempo ha rispedito al mittente le accuse di voler zittire la stampa, spiegando che prima della riforma Orlando i virgolettati delle ordinanze di custodia cautelare in carcere non si potevano pubblicare, esattamente come dopo l’approvazione dell’emendamento Costa con parere favorevole del governo, ma allo stesso tempo ha buttato la palla nel campo dell’opposizione e del Parlamento, in un certo senso smentendo lo stesso ministro della Giustizia Carlo Nordio dicendo che il governo era favorevole ma lei, in sostanza, non c’entra nulla.

Nelle successive tre ore parlerà anche di separazione delle carriere, «che è nel programma e si farà» dicendosi pronta a sottoporla a referendum, e di penitenziari, spiegando che «la soluzione non è tagliare i reati ma ampliare le carceri». E pazienza se ci vorranno anni, durante i quali il sovraffollamento resterà tale.

Ma è dopo circa un’ora, e una decina di domande, che si arriva ai temi caldi dell’attualità, dal caso Pozzolo a quello Verdini. Meloni, a precisa domanda, annuncia il deferimento del deputato di Fdi Emanuele Pozzolo alla commissione di Garanzia del partito con richiesta di sospensione. «Chiunque detenga un’arma ha il dovere legale e morale di custodirla con responsabilità e serietà - ha detto la presidente del Consiglio - Pozzolo non è stato responsabile e per questo ho chiesto deferimento e sospensione: è tutto quello che posso fare sul piano statutario».

Meloni dunque scarica il suo parlamentare, indagato dopo che dalla sua pistola, regolarmente detenuta per difesa personale, la sera di Capodanno è partito un colpo che ha ferito il genero di un agente della scorta del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, presente al veglione assieme a Pozzolo.

Subito dopo spazio al “caso Verdini”, sul quale la presidente del Consiglio si limita a dire di «aspettare gli sviluppi della magistratura», spiegando tuttavia che «le intercettazioni fanno riferimento al precedente governo e Salvini non è chiamato in causa» e di conseguenza spiega di non ritenere «che Salvini debba riferire in Aula sul caso».

Si parla poi di Europee e Meloni dice che non ha ancora deciso se candidarsi o meno, anche se dice che vorrebbe farlo. E spiega anche che non farà «un’alleanza strutturale» con i Socialisti ma specificando che il voto per la presidenza della Commissione è un’altra cosa, e di fatto aprendo a una presidenza sostenuta anche dal Pse. E non chiude nemmeno al sostegno a Mario Draghi per la guida di palazzo Berlaymont. «Non è questo il momento di fare il totonomi», sussurra. Tutt’altro che una bocciatura, insomma.

E sempre su questioni europee si dice «soddisfatta» dell’accordo sul Patto di stabilità, slegandolo però dal Mes. Sul quale «il governo si è rimesso all’Aula», facendo notare che «non c’è mai stata una maggioranza per l’approvazione e quindi giudicando «un errore sottoscrivere la modifica sapendo di non avere una maggioranza».

Tornando a questioni di casa nostra Meloni s’infervorisce quando arriva la domanda sul “caso Degni”, cioè il magistrato della Corte dei Conti che ha espresso ripetutamente posizioni antigovernative. «Quel che considero più grave non è il fatto in sé ma la sfrontatezza con la quale Degni ritiene che sia normale avere un atteggiamento del genere - spiega la presidente del Consiglio - Mi ha colpito che non ci sia stato nessuno a sinistra a dire due parole su questo tema». Con l’eccezione, va detto, del senatore dem Filippo Sensi.

In mezzo, l’inquilina di palazzo Chigi si impegna «volentieri» a un confronto tv con la segretaria del Pd, Elly Schlein, poi si arriva a parlare di immigrazione. «Non troveremo mai una soluzione che metta tutti d’accordo su come gestire i migranti una volta che arrivano in Europa - dice Meloni - La nostra priorità è lavorare a monte e il focus centrale della presidenza italiana del G7 sarà l’Africa». Secondo la leader di Fdi «occorre difendere il diritto a non dover emigrare prima del diritto a poterlo fare» e per questo «servono risorse e investimenti». Come quelli del Piano Mattei, che «sarà illustrato durante la Conferenza Italia-Africa delle prossime settimane».

Poco sui richiami del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sul ddl Concorrenza. Sui balneari, ragiona Meloni, «l’obiettivo del governo è una norma di riordino che ci consenta di scongiurare sia la procedura d’infrazione Ue che di dare certezza agli operatori».

La presidente del Consiglio apre poi alle preferenze nella riforma costituzionale del premierato, difendendo altresì un testo che «rafforza la stabilità dei governo» e «non tocca» i poteri del capo dello Stato. «Un eventuale referendum non sarà su di me ma sul futuro della nazione», ribadisce togliendosi di dosso la cosiddetta “sindrome di Renzi» legata al referendum costituzionale del 2016 “personalizzato” (con le conseguenti dimissioni dopo la sconfitta) dall’ex presidente del Consiglio.

Poco sugli esteri, con un accenno all’addio alla Via della Seta, anche perché «l’Italia era l’unico paese del G7 a farne parte» e alla «recrudescenza di antisemitismo» scaturita dopo gli attacchi del 7 ottobre di Hamas in Israele. Quando ormai i «buongiorno» dei giornalisti fanno spazio ai «buon pomeriggio», Meloni torna poi a sostenere Kyiv, spiegando che «l’unico modo per arrivare alla pace è sostenere l’equilibrio delle forze in campo», e si appella a Israele per «preservare l’incolumità della popolazione civile» di Gaza. E «buon anno a tutti».