Doveva essere un incontro con la premier con al centro solo l'autonomia differenziata, o più precisamente l'accelerazione del percorso della proposta Calderoli. Con questo obiettivo aveva chiesto il summit Salvini, che ha bisogno di portare a casa un risultato da sbandierare in tempo per le elezioni regionali in Lombardia. La premier ha rilanciato mettendo sul tavolo anche il presidenzialismo e trasformando l'incontro in un vero e proprio vertice sulle riforme, con presenti Salvini e Tajani, Calderoli e Fitto, ma anche la ministra che sta gestendo in prima persona la partita del presidenzialismo, Maria Elisabetta Casellati.

Non è una mossa priva di significato. Significa che Giorgia non ha intenzione di arretrare neppure per un attimo dalla sua linea del Piave: le due riforme devono camminare insieme. A Salvini non può bastare. Quello che ha promesso di realizzare entro il 2023 slitterebbe di un anno almeno, forse più. E non si tratta solo di questo. In questo lasso di tempo, i suoi alleati, anche giocando di sponda con l'opposizione, troverebbero certamente modo di stemperare e annacquare il modello di autonomia proposto da Calderoli.

Certo, la Lega ha due argomenti pesanti da calare sul piatto della bilancia: senza il suo voto il presidenzialismo non passerebbe e un'opposizione dura, con spaccatura della maggioranza, sulla ratifica del Mes avrebbe effetti disastrosi. Ma il potere di condizionamento e interdizione del Carroccio sul presidenzialismo dipende, almeno in parte, da come andranno i colloqui con l'opposizione che Casellati inaugurerà proprio oggi con il Terzo Polo. Se si profileranno margini almeno di discussione la riforma nascerà in Parlamento, in una mini bicamerale o nelle commissioni Affari costituzionali congiunte, e il peso della Lega inevitabilmente scemerà.

Altrimenti la proposta di riforma verrà avanzata direttamente dal governo, entro giugno, e la Lega farà pesare i propri voti a quel punto certamente determinanti. Dunque l'intreccio tra i rapporti con l'opposizione e quelli interni alla maggioranza sarà strettissimo.

Con il Terzo Polo, nell'incontro di oggi, non ci dovrebbero essere problemi insormontabili. Calenda e Renzi apriranno l'auspicato spiraglio. Si diranno contrari all'elezione diretta del capo dello Stato ma non a quella del premier. È una differenza di enorme portata ma è anche storia di domani. Oggi l'importante è solo che si dichiarino disposti a discutere di presidenzialismo poi si vedrà. Ma con i 5S, che l'ex presidente del Senato incontrerà lunedì prossimo, e con il Pd, che per ora sfugge a un appuntamento preciso, le cose stanno diversamente. Ieri Conte ha detto che un tavolo maggioranza- opposizione certamente ci sarà ma senza un segnale di reale disponibilità a cercare insieme un modello di presidenzialismo accettabile per tutti almeno da parte del Pd, la premier preferirà evitare il rischio della palude e procedere per via governativa, anche a costo di consegnare così le chiavi del suo presidenzialismo a Salvini.

Sul Mes le cose stanno diversamente. Anche senza il voto del Carroccio la ratifica della riforma sarebbe approvata con il supporto del Pd e del Terzo Polo. Ma per la premier sarebbe una sconfitta politica epocale. Dimostrerebbe di non essere in grado di tenere le redini della maggioranza e a Bruxelles le sue quotazioni, in ascesa proprio perché è stata sin qui capace di imbrigliare gli alleati, precipiterebbero.

Ma per il Carroccio osare davvero un passo clamoroso come la spaccatura della maggioranza è quasi impensabile, almeno in questo momento. Dietro l'intransigenza di facciata Salvini sa di dover trattare anche sull'autonomia rinunciando a parte dei suoi obiettivi. Anche per questo deve tenere duro almeno sui tempi, magari strappando il sì di Giorgia, se non alla presentazione della legge entro gennaio come chiede il Carroccio almeno alla presentazione contestuale da parte del governo delle due riforme, salvo poi procedere con tempi celeri su quella dell'autonomia, che non essendo riforma costituzionale si può concludere entro l'anno.