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Matteo Salvini all’Inaugurazione nuova sede Lega di via Vespri Siciliani - Milano, 13 Giugno 2025 (Foto Claudio Furlan/Lapresse) Inauguration of new Lega headquarters in Via Vespri Siciliani - Milan, June 13, 2025 (Photo Claudio Furlan/Lapresse)
Con una serie di fronti aperti all'interno della maggioranza e tra maggioranza e opposizione (tra i quali il terzo mandato che domani in commissione al Senato verosimilmente tornerà a dividere il centrodestra), il leader della Lega Matteo Salvini ha pensato bene di agitare ulteriormente le acque. E lo ha fatto andando a ripescare un tema che non aveva mancato, negli ultimi anni, di innescare polemiche feroci nel nostro paese e di attirare su Roma le censure dell'Unione europea: il reato di tortura.
Presenziando a Montecitorio ad un'iniziativa del suo partito che era stata appositamente convocata per presentare due nuovi dipartimenti, chiamati a occuparsi di questioni carcerarie, il vicepremier, tanto per fugare ogni dubbio su quale fosse il mood dell'impegno del Carroccio sul tema, non si è soffermato su questioni come il sovraffollamento o le condizioni di detenzione, ma ha lanciato il sasso nello stagno, chiedendo una revisione delle norme che attualmente configurano il reato di tortura, postulando che la sua presenza nel codice penale limiti o danneggi in qualche modo l'operato degli agenti di polizia penitenziaria.
«La polizia penitenziaria», ha affermato, «è poco presente su giornali e quando c'è viene attaccata con parole come 'aguzzini e torturatori'. Ma è un mestiere prezioso in condizioni delicatissime, lavoratori che sono dentro per missione e vocazione». Ne deriva, nel sillogismo salviniano, la necessità di «rivedere, circoscrivere e precisare reato di tortura». «E' una cosa da fare», ha aggiunto, «e chi se non la Lega può farlo». Nello schema del leader del Carroccio, l'intervento sul reato di tortura dovrà essere conseguente alle norme recentemente introdotte dal dl sicurezza, alcune delle quali hanno introdotto nuove fattispecie di reato e inasprito le pene per i detenuti che si rendano responsabili di insubordinazione, aumentando anche la tutela legale per gli agenti.
Non a caso, Salvini ha contestato il fatto che «per un agente di pubblica sicurezza che nell’esercizio delle sue funzioni, per difendere sé stesso o l’altrui incolumità, ci sia l’atto dovuto dell’iscrizione nel registro degli indagati». Difficile che l'ex-ministro dell'Interno potesse ignorare le conseguenze della sua uscita, dato che la questione è già stata al centro di numerose polemiche, poiché un analogo proposito di revisione del reato era stato manifestato da FdI a inizio legislatura, sempre con la motivazione di favorire il lavoro degli agenti. Anzi, alcuni esponenti del partito della premier avevano annunciato, circa due anni fa, un'iniziativa legislativa per abolire tout-court il reato di tortura, declassandolo a semplice aggravante.
Il proposito è stato poi abbandonato, per una serie di ragioni, in primis l'opportunità politica e i rapporti con le istituzioni giuridiche europee, che per lunghi anni avevano intimato all'Italia di assolvere all'obbligo comunitario di prevedere il reato di tortura nella propria legislazione. Che è stato introdotto solo nel 2017 e con una formulazione “al ribasso” rispetto a quanto inizialmente contenuto nelle proposte di legge presentate in Parlamento. I governi di centrodestra, sotto la pressione dei sindacati di polizia (contrari all'introduzione) avevano a lungo rinviato l'assolvimento alla richiesta europea, che è arrivata col governo Gentiloni.
Il reato di tortura e quello di istigazione alla tortura sono attualmente disciplinati dagli articoli 613-bis e 613-ter del codice penale. Il primo punisce con una pena dai 4 ai 10 anni «chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona».
Immediate (e prevedibili) le reazioni dell'opposizione, a partire dal Pd: «Prima la tortura e poi magari la pena di morte?», ha commentato la responsabile giustizia dem Debora Serracchiani, «il centrodestra», ha proseguito, «faccia i conti con la scheggia impazzita che si ritrova in maggioranza, perché Salvini sta dicendo di voler scassare le basi dei diritti umani, non solo della democrazia liberale di cui è nemico dichiarato. Il reato di tortura è una conquista per un Paese civile, la difenderemo anche in segno di rispetto del lavoro di chi opera nelle carceri, personale messo più a rischio dal Dl sicurezza. Il sistema di alzare i toni adottato dal capo della Lega non è folklore di destra estrema ma è oggettivamente pericoloso perché sposta il confine dell'accettabile e aumenta il clima di tensione nel Paese».
Per il M5s «anche oggi Salvini ha detto una sciocchezza in materia di giustizia: il reato di tortura non ha bisogno di essere circoscritto, la sua introduzione è stato un passo di civiltà giuridica», mentre per Ilaria Cucchi, di Avs, «il ministro Salvini dovrebbe occuparsi di trasporti e non di altro. Vorrei fargli presente che non sono tutti gli agenti ad essere etichettati come 'torturatori', ma solo quelli perseguiti penalmente per questo reato, sul quale non permetteremo che vengano messe le mani per pura propaganda politica». A completare il quadro, il segretario di +Europa Riccardo Magi, per il quale «Salvini vuole il far West».