Sorpreso dalle recenti cronache parapolitiche della Scala - credetemi - più che per quel grido contro il fascismo levatosi dal loggione con allusione al presidente del Senato Ignazio La Russa ospite del palco reale, per l’indifferenza ostentata invece nel foyer da Fedele Confalonieri parlando dell’assenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, di cui ha tenuto a dire che non gli mancava per niente, ne ho capito la ragione due giorni dopo leggendo il Corriere della Sera. Dove si è raccontato di un incontro riservato avuto dal fraterno amico del compianto Silvio Berlusconi la settimana precedente con la premier Giorgia Meloni. Un incontro riferito dal solitamente ben informato Francesco Verderami, in effetti non smentito, anche alla esternazione di Gianni Letta contro il premierato proposto dal governo perché destinato a ridimensionare, quanto meno, la figura del Capo dello Stato, a cominciare da quello in carica. Che l’ex sottosegretario e braccio destro di Berlusconi stima moltissimo, al pari di tutti i predecessori, compresi quelli che procurarono più grattacapi o delusioni al fondatore di Forza Italia e quattro volte presidente del Consiglio, dopo la sua sorprendente vittoria elettorale del 1994.

Verderami, a dire la verità, non si è dilungato molto su quell’incontro, pur guadagnatosi il richiamo in prima pagina e, all’interno, anche un catenaccio, come lo chiamiamo noi giornalisti, sul fatto che «il manager sul premierato non la pensa come Letta». Cioè, al presidente di Mediaset non crea preoccupazione, ansia e quant’altro che Mattarella nel proseguimento del suo secondo mandato e i successori eletti dal Parlamento finiscano ridimensionati, o compromessi, davanti a un presidente del Consiglio eletto direttamente dal popolo. Un presidente del Consiglio che, con gli umori correnti nel Paese, potrebbe essere dopo la riforma anche la Meloni. Della quale Confalonieri già prima delle elezioni dell’anno scorso, avvertendone il risultato anticipato da tutti i sondaggi e l’approdo a Palazzo Chigi, aveva pubblicamente esortato amici, conoscenti e altri a fidarsi.

«Sebbene l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio e il patron di Mediaset - ha raccontato Verderami nel suo scoop - siano stati i due autentici pilastri di Silvio Berlusconi, politicamente appartengono a chiese diverse. Il primo è di “rito ortodosso romano”, il secondo è di “rito federalista ambrosiano”. Due scuole di pensiero che - ha insistito Verderami, conoscitore di entrambi, avendone ripetutamente raccolte interviste, telefonate e simili- mole volte hanno avuto opinioni diverse. Sta accadendo di nuovo sul progetto di riforma costituzionale del governo». Racconto, conclusione, sintesi - come preferite - dal sapore tacitiano, dal nome del leggendario storico romano Tacito, mitico per la sua precisione pari alla concisione.

Prima difeso dentro Forza Italia per la sua sortita contro il premierato in quanto «strumentalizzato» dalle opposizioni - disse, per esempio, la vice presidente del Senato Licia Ronzulli - e poi ridimensionato politicamente a «uomo Mediaset», come lo definì in una imbarazzata intervista al Fatto Quotidiano Nazario Pagano, presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera, Gianni Letta si è trovato spiazzato nel racconto del Corriere della Sera anche come eminenza aziendale, o di gruppo. Ne sarà rasserenata la Meloni, che ha notoriamente definito quella del premierato «la madre di tutte le riforme», spalleggiata dal presidente del Senato, anche lui convinto della sua priorità rispetto anche a quella della giustizia, più cara ai forzisti, o delle autonomie differenziate care ai leghisti.

Non dico che siamo ad un letticidio, sinonimo del famoso Conticidio coniato da Marco Travaglio quando fu sfrattato da Palazzo Chigi il primo e unico inquilino pentastellato, ma ci stiamo vicino. Del resto, questa è la fase che ho già definito del dopo - berlusconismo, e non solo nel centrodestra, o destra - centro ch’esso è diventato.