La domanda giusta non è come sia andata l'“estate militante” di Elly Schlein ma se ci sia stata, e la risposta è no. Un dirigente del nuovo Pd, Sandro Ruotolo, ha spiegato in tv che raccogliere 300mila firme per il salario minimo nel torrido agosto è la prova provata del contrario ma è precisamente quella l'illusione ottica che rischia di ingannare, non per la prima volta, il Pd. Le firme raccolte in buona parte via Internet non sono molto diverse dai commenti sparati sui social, attività nella quale si esaurisce da un tempo ormai cospicuo la “militanza” del Pd.

La sfida della segretaria si poneva implicitamente un obiettivo importante: riportare quello che negli anni è diventato un partito di amministratori e per il resto d'opinione nelle strade dalle quali, come i voti sonanti puntualmente confermano, è stato bandito. L'obiettivo era tanto più giustificato in quanto proprio questa è la minaccia che grava sul neo Pd della segretaria outsider: diventare ancor più di prima un partito d'opinione, di indignazione permanente, di slogan facili e poco consistenti.

L'estate militante aveva anche una seconda e più immediatamente concreta posta in gioco: porre almeno le basi per un'alleanza di governo senza la quale, salvo improbabile deflagrazione del centrodestra, sarà impossibile contendere alla destra il primato elettorale. Il salario minimo sembrava essere un terreno ideale, dal momento che per la prima volta e con l'eccezione di Renzi, prendeva corpo intorno a quell'obiettivo un “campo”, senza bisogno di approfondire ulteriormente l'estensione dello stesso. Per cogliere l'occasione sarebbe però stato necessario battere il ferro ancora caldo, organizzare manifestazioni pubbliche comuni se non con tutti i leader che sostengono la campagna almeno con quelli delle forze principali, Schlein e Conte. I leader in questione avrebbero dovuto cogliere l'occasione offerta dai rincari per allargare lo spettro delle proposte concrete comuni alla lotta contro il caro prezzi.

Non si è visto nulla di tutto questo. Elly Schlein è scomparsa per una decina di giorni, non per la prima e probabilmente neppure per l'ultima volta. Era stanca. Giuseppe Conte invece si è dato molto da fare ma lo ha fatto solo in nome del suo partito, sfruttando la latitanza della leader del Pd per conquistare spazio a detrimento della papabile alleata. Calenda ha preso le distanze, sia mostrandosi molto più disponibile al dialogo con il governo sul salario minimo sia chiarendo che una rondine non fa primavera e che lui ad allearsi con i 5S continua a non pensarci per niente. In questa situazione ha tenuto banco proprio il tipo di campagne che un Pd deciso a tornare partito di popolo e non solo d'opinione e slogan dovrebbe rifuggire, come quella un bel po' surreale per le dimissioni di Marcello De Angelis o come quella, pur più fondata, sul generale Vannacci.

In autunno le cose saranno certamente più facili perché è molto improbabile che il governo, con i chiari di luna che lo affliggono, possa mettere in campo una proposta di legge contro il lavoro povero soddisfacente. Senza fondi a disposizione è probabile che quella legge si riduca a poca cosa o peggio. La Cgil promette mobilitazione, e sia Schlein che Conte si appoggeranno a quella spinta anche se per il partito di Elly criticare l'austerità adottata dal governo sarà ostico mentre per Conte facilissimo e si può scommettere che l'avvocato sfrutterà il vantaggio.

Naturalmente è vero che “militare” in agosto è cosa diversa dal farlo in autunno o inverno e che il Pd di Elly avrà numerose stagioni per dar migliore prova di sé. Però l'esordio autorizza a chiedersi se almeno la diagnosi del nuovo gruppo dirigente sia davvero lucida, cioè se gli sia chiara l'abissale differenza tra una raffica di slogan e il recupero di un consenso e di una fiducia popolari persi nell'arco di una trentina d'anni. È anche vero che la competizione tra le forze della virtuale coalizione di centrosinistra è inevitabile con le europee vicine (sempre che si possa definire davvero “vicino” un appuntamento in agenda fra oltre 9 mesi). Ma anche in questo caso la competizione tra possibili alleati bisogna saperla gestire politicamente e con accortezza. Altrimenti c'è il rischio di uscire soddisfatti dalle urne europee solo per venire massacrati subito dopo alle Regionali e la consolazione del voto europeo sarebbe in quel caso davvero molto magra.