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«Voterò senza alcun dubbio No in questo referendum così come ho fatto con le pessime riforme precedenti, quella berlusconiana del 2006 e quella renziana del 2016». Lo afferma in un'intervista, l'ex pm Armando Spataro, spiegando le ragioni della sua scelta. «Intanto - fa notare - non è una riforma, termine che si può usare per un disegno organico di mutamento istituzionale. Voterò No perché sono contro ogni tipo di pubblicità ingannevole, e i brand a sostegno del Sì lo sono: minori costi istituzionali, maggiore efficienza del Parlamento, allineamento con i numeri dei parlamenti europei. Tutte bufale colossali". "Noi non difendiamo questo Parlamento - prosegue Spataro, che fa parte di un comitato per il No - ma l'istituzione che è centrale per ogni democrazia,e soprattutto difendiamo il futuro di questo Paese. Gli economisti esperti hanno smentito che ci possa essere un significativo risparmio dei costi, ammesso che con le istituzioni si possa ragionare come in un'impresa. Poi è dimostrato numericamente che se vincesse il Sì il nostro Paese sarebbe quasi all'ultimo posto in Europa nel rapporto tra eletti ed elettori, i quali sarebbero meno rappresentati.Quanto all'efficienza, è solo frutto di populismo l'affermazione secondo cui meno si è in Parlamento e meglio si lavora». E a Spataro fa eco Area: con il taglio dei parlamentari non accompagnato da una nuova legge elettorale si rischia «un vulnus per la democrazia rappresentativa», denuncia Area. «Occorre domandarsi se un risparmio di spesa, scarsamente incidente e ancora di impossibile identificazione costituisca un vantaggio tanto significativo da giustificare gli effetti distorsivi che la riforma rischia di determinare sulla democrazia, sulla rappresentanza e sul pluralismo. Effetti che rischiano di aggravarsi in assenza della riforma della legge elettorale, aumentando la distanza tra politica e i cittadini». Secondo l’associazione delle toghe progressiste, «in presenza della legge elettorale attuale, la riduzione del numero degli eleggibili accresce il ruolo delle segreterie dei partiti, che finiranno con l’occupare ogni spazio di rappresentanza, e determina una marcata marginalizzazione delle minoranze, se non la loro espulsione dal Parlamento. Né potranno trovare adeguata rappresentanza tutte le differenti realtà territoriali del Paese. Fattore questo che »si inserirebbe in un quadro istituzionale che già registra un progressivo e preoccupante svilimento del ruolo del Parlamento rispetto al Governo, attuato attraverso l’irrigidimento della disciplina di partito, fino alla sostanziale imposizione del vincolo di mandato, il costante ricorso alla decretazione d’urgenza, alla legge delega ed al voto di fiducia, il sistematico accantonamento delle proposte di legge di iniziativa parlamentare per dare corso più rapido a quelle governative».