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Chi pensava (o sperava) che i leader europei spegnessero gli ardori di Volodymir Zelensky per portarlo subito al negoziato con i russi, sarà rimasto deluso. Nemmeno un accenno a un eventuale tavolo delle trattative, nessun riferimento a possibili “concessioni” o rese militari. Emmanuel Macron, Mario Dragi e Olaf Scholtz in una simbolica visita a Kiev riaffermano al contrario il pieno sostegno dell’Europa alla resistenza ucraina e lo fanno senza esitazioni o mezze misure: «Oggi è una giornata storica - l'Italia, la Francia e la Germania, tre paesi fondatori sono venuti in Ucraina per offrire il loro sostegno incondizionato a Kiev. Un popolo che si è fatto esercito per resistere. Vogliamo la pace ma l'Ucraina deve difendersi ed è l'Ucraina a dover scegliere la pace che vuole, quella che ritiene accettabile per il suo popolo. Solo così può essere una pace duratura», le parole di Draghi nella conferenza stampa che si è tenuta nei giardini di palazzo Marinsky (la sede del governo), dove i quattro leader sono raggiunti dal premier rumeno Klaus Iohannis. La mattina erano andati tra le macerie di Irpin, sobborgo a nord della capitale duramente colpito dall’artiglieria russa e diventato uno dei luoghi simbolo del conflitto per i massacri di civili compiuti dall’esercito di Mosca. Nel pomeriggio invece, come avevano fatto mai prima d’ora, l’invito all’Ucraina per adire al più preso all’Unione europea. Il più convinto sembra Mario Draghi «L’Italia vuole l'Ucraina nell'Ue, vuole che abbia lo status di candidato e sosterrà questa posizione nel prossimo Consiglio europeo». Non si è trattata di «un’ espiazione», come sostiene il direttore del governativo Kiev Post, Bohdan Nahaylo, che nelle scorse settimane aveva criticato la «timidezza» delle capitali europee nell’invio di armi alle forze armate ucraine, ma neanche di «una passerella» come invece venne rimproverato a Ursula Van der Leyen nelle prime settimane di guerra: la visita dei tre capi di governo rappresenta al contrario un messaggio molto chiaro per la Russia e i suoi generali e cioè che nell’Ue non ci sono crepe e che in alcun modo verrà chiesto a Zelensky di rinunciare a difendersi sul campo di battaglia, nonostante in Donbass le forze russe stiano prendendo decisamente il sopravvento. E dire che alla vigilia dell’incontro Macron aveva lasciato presagire altri scenari diplomatici, affermando per esempio che l’Ucraina avrebbe comunque dovuto «trattare con la Russia». Per diversi analisti, tra cui anche qualche ammiratore di Vladimir Putin, quelle parole alludevano a un netto cambio di strategia, a uno smarcarsi dalla linea atlantista degli anglo-americani a una frattura nel fronte occidentale. Ma sono interpretazioni artificiose, fuorviate probabilmente dalla voglia di far coincidere la realtà con i propri desideri e di dare spiegazioni definitive a ogni dichiarazione di circostanza. Dire che l’Ucraina e la Russia dovranno prima o poi sedersi attorno a un tavolo è un’ovvietà, la guerra non può durare in eterno, ma il presidente francese non ha mai specificato “quando” questo deve accadere né ha mai esercitato pressioni dirette su Zelensky. Il ritiro dei blindati russi entro i propri confini è la condizione per iniziare a trattare. Certo, gli alleati europei e in particolare Parigi (Roma un po’ meno) non condividono l’escalation verbale di Joe Biden né la centralità che la Nato ha assunto nel conflitto, anzi ne sono infastiditi e anche spaventati da un possibile allargamento del conflitto, gli europei o almeno il loro “nucleo storico” hanno visioni e interessi differenti da Washington e Londra, ma l’appoggio pieno dalla causa ucraina non è mai stato negoziabile, . In tal senso anche la Francia aderisce alle pesanti sanzioni economiche anti-russe disposte da Bruxelles ed è in prima linea nell’invio della propria tecnologia militare a Kiev.