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Il governo di Mario Draghi è appeso a un filo. È ancora presto per dire se si spezzerà o se, come quello di Arianna, riuscirà a portare il presidente del Consiglio fuori dal labirinto. In attesa del voto di fiducia, la crisi è precipitata quando, dopo il discorso dell’inquilino di palazzo Chigi in Senato, piuttosto duro con la Lega, alla crisi provocata dal Movimento 5 Stelle si è aggiunto il fastidio del centrodestra di governo a votare il proprio sostegno all’esecutivo. In poco più di mezz’ora, Draghi ha definito la scena delle dimissioni «tanto sofferta quanto dovuta» per poi spiegare di ritenere che «un Presidente del Consiglio che non si è mai presentato davanti agli elettori debba avere in Parlamento il sostegno più ampio possibile». Un sostegno garantito fino a poche settimane fa, quando sul decreto Aiuti è saltato il tappo. «Purtroppo - ha aggiunto - con il passare dei mesi, alla domanda di coesione che arrivava dai cittadini le forze politiche hanno opposto un crescente desiderio di distinguo e divisione». Per poi lanciare un appello ai partiti di maggioranza. «Non votare la fiducia a un governo di cui si fa parte è un gesto politico chiaro, che ha un significato evidente - ha sottolineato - Non è possibile ignorarlo, perché equivarrebbe a ignorare il Parlamento, non è possibile contenerlo, perché vorrebbe dire che chiunque può ripeterlo, non è possibile minimizzarlo, perché viene dopo mesi di strappi ed ultimatum: l’unica strada, se vogliamo ancora restare insieme, è ricostruire da capo questo patto, con coraggio, altruismo, credibilità». E infine chiedendo alle forze politiche se sono pronte a rinnovare il patto di fiducia sul quale si è fondato il governo. La risposta, nel momento in cui scriviamo, è negativa. Perché se il Movimento 5 Stelle non ha ricevuto rassicurazioni sugli ormai famosi 9 punti posti dal leader Conte, Lega e Forza Italia non hanno accettato la tirata di orecchie sulle polemiche legate alla riforma del catasto e a quella della concorrenza, citate da Draghi con tanto di richiamo contro la protesta di tassisti e titolari di concessioni balneari. E così, il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, ha richiamato tutti a Villa Grande, dove il centrodestra di governo si era già riunito per l’intera giornata di ieri. Ne è uscito un altro vertice fiume, svoltosi negli stessi momenti in cui il capogruppo del Carroccio a palazzo Madama, Massimiliano Romeo, rinfacciava a Draghi tutto ciò che a via Bellerio non andava bene del discorso mattiniero del presidente del Consiglio. Per poi accordarsi su una risoluzione in cui si diceva favorevole a un Draghi bis ma senza i Cinque Stelle e con un corposo rimpasto di governo. Nella replica, brevissima, Draghi ha ringraziato i ministri per l’impegno svolto e ha richiamato il Movimento 5 Stelle su reddito di cittadinanza e Superbonus. Richiesta rigettata al mittente da palazzo Chigi. L’unica risoluzione sulla quale si voterà la fiducia al governo è quella di Pierferdinando Casini, a favore dell’esecutivo e alla quale il centrodestra ha già detto no. Ma nei corridoi di palazzo Madama già impazzava il chiacchiericcio su chi, tra M5S da un lato e Lega e Forza Italia dall’altro, si prenderà la responsabilità di non votare la fiducia a Draghi. «Come andrà a finire? Bella domanda», ha detto l’ex capogruppo grillino al Senato, Ettore Licheri. Ancora poche ore e lo sapremo.