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Se non fosse che i metereologi ci avvertono che proprio oggi l'estate finisce, la si potrebbe tranquillamente derubricare come una discussione da ombrellone: forse divertente; inutile sicuramente. Invece no, e i diagrammi sulle perturbazioni in arrivo non c'entrano. Perché una cosa è evidente: ci si può lambiccare il cervello finché si vuole ma l'uscita del grillino Alessandro Di Battista sul governo di scopo da allestire nel caso di vittoria del No al referendum, tutto è tranne che una boutade. Riflette piuttosto un'inquitudine che alligna non solo nel mondo pentastellato ma in tutti i protagonisti politici e non solo italiani, come si è visto nel caso dell'ambasciatore Usa Phillips. Si tratta del quesito riguardante cosa succede se Matteo Renzi perde la sfida sulle riforme e traslochi da palazzo Chigi. Non si può andare a votare: sia perché il presidente della Repubblica non intende sciogliere le Camere; sia perché gli italiani andrebbero alle urne con due leggi elettorali diverse per i due rami del Parlamento: un caso di scuola di ingovernablità.Dunque che fare? Fino a qualche mese fa, l'ipotesi non veniva neanche presa in considerazione: i Sì avrebbero trionfato e basta. Ora che i sondaggi - anche se in verità non tutti - offrono un panorama più variegato, il tema è diventato di stringente attualità. Il governo di scopo sarebbe nient'altro che l'esecutivo incaricato di stilare una nuova legge elettorale e traghettare il Paese al riparo della speculazione finanziaria fino al 2018, scadenza naturale della legislatura. Il punto è: chi lo dovrebbe guidare? E con il sostengo di quali partiti?La sortita di Di Battista - che non solo il governo di scopo ha evocato ma ha anche lasciato intendere che i grillini potrebbero appoggiarlo - testimonia che a differenza di quanto sostengono in tanti, nel mondo pentastellato di politica si discuta eccome, e ovviamente ci si interroghi su quale debba essere l'atteggiamento del Movimento nel caso in cui si trattasse di costruire un nuovo equilibrio sulle macerie della sconfitta renziana. ll fatto che Luigi Di Maio si sia incaricato di depotenziare l'affondo del collega di Direttorio, invece di smentire conferma la sensazione che il tema sia oggetto di discussione - e presumibilmente anche di scontro - tra chi intende restare comunque fuori dai giochi (e nel caso di Di Maio anche rifarsi una la verginità perduta tra Cile, Venezuela e Campidoglio) e chi, al contrario, ritiene che sia arrivato il momento in cui i penstellati mettano sul tappeto tutta la loro potenza politica al fine di indirizzare gli avvenimenti su un sentiero congeniale ai loro obiettivi. E interessi.Proviamo a ragionare. Se Renzi lascia, rimane - come lui stesso ha avvertito - segretario del Pd. Primo interrogativo: è possibile fare un governo di scopo che metta insieme le forze del No ed escluda i Democrat? Si tratta di una prospettiva inverosimile. Lega più Cinquestelle più Fdi più Forza Italia non fanno una maggioranza: piuttosto un gigantesco e ingestibile guazzabiglio. Non a caso il giglio magico fa notare che simili scenari sono di cartapesta perché se Matteo si mette di traverso nessun governo è possibile. Giusto. Ma quale sarebbe la capacità di manovra di un leader delegittimato dalle urne? Probabilmente scarsa. Perciò potrebbe succedere (il condizionale non solo è obbligato ma va rafforzato) che Renzi, seppur di malavoglia, dia via libera. A quel punto per una intesa con i pentastellati o riavvolgendo il nastro del Nazareno? Più facile la seconda eventualità. La prima sa troppo di bersanismo di ritorno: chi non ci crede può andare a rivedersi l'ultima puntata di Dimartedì con l'ex segretario ospite d'onore. Quanto al fronte opposto, non fu proprio Berlusconi mesi fa, in tempi dunque non sospetti, ad evocare un governo di larghe intese per un eventuale dopo-Renzi?Se così stanno le cose però, la disponibilità (retrattile?) di Di Battista assume anche un altro sapore. Può cioè essere spia della necessità di fare in modo che i Cinquestelle non siano tagliati fuori dai giochi post urne. Tradotto: che cioè il governo di scopo lo facciano Pd e Fi allestendo il meccanismo di voto a loro più congeniale per lasciare il Movimento ai margini. L'obiezione è che così facendo per i grillini si aprirebbero infinite praterie elettorali per un trionfo nel 2018. La controreplica è che un anno può, certo, volare in un attimo ma anche diventare un infinito Calvario se si inanellano perle come quella di Roma. Chissà chi ha ragione. Per capirlo, basta aspettare l'esito referendario. Una volta che Renzi avrà fissato la data di svolgimento, si capisce.