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Ma adesso, senza il fiato sul collo della crisi di governo, sicura di giorno e inesorabilmente dissolta di notte ( o viceversa, è uguale) che si fa, si sta meglio? Senza lo spettro del ritorno alle urne - presto, prestissimo, sotto l’ombrellone, ma no meglio fine settembre, e la Finanziaria? ci pensiamo dopo - come può campare l’hellzapopping che detiene la maggioranza in Parlamento e ha un suo rappresentante a palazzo Chigi?
Se a qualcuno la domanda sembra impertinente o addirittura provocatoria, può dare una ripassata ai titoli dei giornali dei giorni scorsi oppure farsi un giro su quell’oceano in perenne tempesta che sono i social. Perché in realtà il quesito racchiude il nodo più intricato e inquietante di questa fase, ben acquattato sotto la spuma della bonaccia di queste ore tra Salvini e Di Maio ( Conte no, lui è nell’occhio del ciclone). Certo, si può continuare a picchiare sugli usati tasti della cacofonica melopea comunicativa. Si può insistere a fischiettare in modo circolare e senza fine il ritornello che da un anno in qua i due vicepremier rifilano al Paese. Ossia Matteo Salvini può assorbire nuova linfa dal brutale assassinio di ieri del poliziotto a Roma e rilanciare la guerra contro gli immigrati e i delinquenti “da condannare a vita ai lavori forzati” se già a terra. O impedendo gli attracchi bloccandoli ben prima del bagnasciuga se sono su una nave. Mentre Di Maio può godere del via libera al “mandato zero” e mormorare giaculatorie di fronte al muro costruito per blindare il ministro Toninelli: la Tav magari si fa ma lui resta dov’è e guai a chi lo tocca.
La pandemia della crisi di governo costringe ognuno a stringersi attorno al Moloch che inneggia alla propria identità politica. Ma se la crisi si allontana ( forse, chissà, almeno quanto basta e poi vediamo) allora è giusto da parte dei cittadini reclamare che forze politiche e movimenti che esprimono un esecutivo facciano il loro dovere: che è, appunto, governare. Il continuo cicaleccio sui social - a proposito: un vero scempio il fatto che i due vicepremier non siano andati al Senato a sentire Conte sul rubligate preferendo l’esibizione personale su Facebook- è altra cosa. Altrimenti alimentare speranze senza poi saperle esaudire e continuare a dichiarare invece di fare, rischia di diventare il pozzo dove sprofondano le vanità di leadership sempre meno concrete e sempre più di cartapesta. Il contrario di ciò che serve al Paese.