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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla Camera dei deputati durante le comunicazioni sul prossimo Consiglio europeo del 27 e 28 giugno. Roma, Mercoledì, 26 Giugno 2024 (Foto Roberto Monaldo / LaPresse) Prime Minister Giorgia Meloni in the Chamber of deputies during communications on the next European Council on 27 and 28 June. Rome, Wednesday, 26 June 2024 (Photo by Roberto Monaldo / LaPresse)
«Se in un film fai vedere una pistola, quella pistola prima o poi deve sparare», insegnava Alfred Hitchcock. La politica non è un film, quella italiana somiglia piuttosto a una interminabile serie, le regole del maestro inglese non sono altrettanto rigide. Ma resta probabile che se una pistola viene messa troppo e troppo spesso in mostra prima o poi finisca per essere adoperata.
Quella metaforica arma Forza Italia la ha tirata fuori e fatta vedere a tutti con sin troppa ostentazione nelle ultime settimane e non accenna a infilarla di nuovo nel fodero. Non si tratta solo di insistere su opzioni diverse da quelle del resto della maggioranza. Il punto chiave è che quelle opzioni battono sui punti cardine dell'identità della destra: immigrazione e politiche securitarie.
È' probabile che il particolare abbia un certo peso nel nervosismo palese che ha dettato a Giorgia Meloni una reazione in sé probabilmente non ingiustificata ma tanto esageratamente calcata da risultare controproducente dopo le voci sull'eventuale indagine a carico di sua sorella Arianna.
La premier non la manda a dire, ammette francamente cosa la innervosisca tanto: il sospetto che si stia stringendo una rete che mira a farla cadere ben prima della scadenza della legislatura. In questa temuta manovra le indagini della magistratura sono un must e un sempreverde. Sospettare intenti politici non sarebbe comprensibile ma letteralmente inevitabile, basti pensare alle surreali motivazioni con cui il gip aveva respinto la richiesta di revoca dei domiciliari di Toti imponendogli così di fatto le dimissioni. Solo che un sospetto del genere non basta a giustificare la reazione ai confini dell'isteria, e quindi tale da denunciare una debolezza, della presidente del Consiglio.
Giorgia non teme di cadere per una inchiesta (sempre che finisca per esserci davvero) su sua sorella. Teme che un eventuale intervento della magistratura sia la ciliegina su una torta al veleno composta da molti ingredienti letali. L'isolamento in Europa, perché quella sconfitta peserà ancora a lungo e forse non ha ancora iniziato davvero a far sentire i propri effetti. La situazione dei conti pubblici, che permette pochissimo quest'anno e molto meno permetterà il prossimo. La mina vagante dei referendum soprattutto quello sull'Autonomia, nel quale è certamente vero che il traguardo del quorum è difficilmente raggiungibile ma è anche vero che si tratta di una prova nella quale il centrosinistra ha tutto da vincere, lei tutto da perdere.
Infine, appunto, le divisioni latenti nella maggioranza: perché non si può seriamente pensare che Tajani e probabilmente anche Piersilvio Berlusconi scelgano si smarcarsi proprio sugli elementi fondanti del dna della destra senza avere un progetto e forse anche una strategia in mente.
Al momento la maggioranza è soprattutto occupata a negare quest'ultima ombra. Per dissipare ogni sospetto di trama la premier e il vice Salvini, nel corso della visita vacanziera di quest'ultimo in masseria, si sono attaccati al telefono per coinvolgere Tajani, che infatti non si è affatto sentito escluso: «Ma era solo un incontro conviviale». Nel convivio, e pure nella telefonata, però una puntata un tantinello più seria c'è scappata, tanto che entrambi i vicepremier, ieri, si sono sbracciati per confermare entusiastico supporto a Raffaele Fitto come prossimo commissario europeo. Non si tratta di elogi casuali e di circostanza: la premier teme un trappolone orchestrato per affondare il suo candidato. Sarebbe il degno e disastroso coronamento della sconfitta europea. Urge pertanto non offrire il fianco mostrando la benché minima crepa nella maggioranza.
I tre si sono dati appuntamento per un meno conviviale incontro il 30 agosto. Sarà un vertice di maggioranza a pieno titolo con elenco di argomenti all'odg decisamente folto anche se il piatto forte non potrà che essere la manovra. Piatto forte per modo di dire: l'accordo sulle priorità assolute c'è già. Bisogna confermare per il 2025 il taglio del cuneo, e sono 10 miliardi, bene che vada. Bisogna anche finanziare anche per il prossimo anno la riduzione a tre sole aliquote: 4 miliardi. Poi le spese fisse, si arriva ai 20 miliardi sulla carta e non basteranno nella pratica. Per il resto più che piatto forte resteranno le briciole e anche quelle piuttosto scarse.
Ci saranno un paio di decisioni non più rinviabili da prendere, come le concessioni balneari, passaggio particolarmente doloroso perché o si imbestialisce l'Unione o s'infuria una componente storica della base di destra, e il cda Rai. Non ci sarà tempo per mettere le mani nell'ortica, cioè in faccende laceranti ma non strettamente all'odg come una riforma della cittadinanza. Dunque la pistola resterà sul tavolo. Con la speranza che non finisca come in un film di Hitchcock.