«Non tutte le frittate finiscono con il venir bene...». Il giorno dopo il ritiro di Giuliano Pisapia dalle scene politiche tocca a Romano Prodi commentare il fallimento di un progetto unitario per il centrosinistra. Il Professore non se la sente di giudicare a caldo la scelta dell’ex sindaco di Milano ma spiega: «Non è stata una defezione, perché Pisapia non aveva deciso. Aveva studiato il campo e poi ha concluso che non era cosa, come il tentativo che io e Fassino abbiamo fatto di incollare la situazione e poi la colla non ha funzionato». Non tutto è perduto, confida però il papà dell’Ulivo. «Il processo va avanti. Si tenterà di nuovo perché è importante ed utile al Paese. Pisapia ha esplorato e non ha trovato in se stesso o nel gruppo di riferimento motivazioni per andare avanti. E questo mi dispiace». Prodi non è l’unico a sperare in una ripresa delle trattative, anche senza Pisapia in campo. Il pontiere Piero Fassino giura di essere ancora a lavoro per costruzione di una lista a sinistra del Pd che ruoti attorno ad alcuni amministratori locali, in gran parte ex Sel, come il sindaco di Cagliari Massimo Zedda. E gli irriducibili di Campo progressista, dal canto loro, assicurano che la partita è tutt’altro che finita.

In Lombardia, ad esempio, gli orfani di Pisapia non rinunciano alla sfida e promettono di correre con una lista propria, a sostegno di Giorgio Gori, alle prossime Regionali. Certo, senza Giuliano Pisapia alla guida le ambizioni della “sinistra unitaria” ne escono fortemente ridimensionate. Perché a sinistra del Pd i posizionamenti sono già definiti attorno a Piero Grasso: difficilmente una nuova sigla “civica” senza un leader riconoscibile riuscirà a impensierire gli antirenziani di Liberi e Uguali. Il presidente del Senato aspetta solo l’ufficializzazione dell’ingresso in squadra di Laura Boldrini per completare l’organico, poi si potrà partire per la campagna elettorale.

Ma il passo indietro di Pisapia comporta anche la fuga disperata di chi aveva riposto le proprie speranze nel centrosinistra per avere un futuro politico. I primi a guardarsi attorno sono gli ex Sel confluiti inizialmente in Campo progressista. Per i pasdaran dell’ex sindaco di Milano sono loro i veri artefici del fallimento del progetto, troppo concentrati sulle poltrone e poco al percorso unitario. «In questi lunghi mesi c’è stato chi ogni volta ha voluto alzare un po’ di più l’asticella dell’accordo», spiega Giulio Lauri, consigliere regionale di Sel in Friuli Venezia Giulia, molto vicino all’avvocato milanese. «Gli stessi che non erano mai stati chiari nel percorso di mutazione di Sel in Sinistra italiana. C’è da scommettere che alla fine alcuni di loro finiranno dritti fra le braccia - e i seggi di Massimo D’Alema».

Sul banco degli imputati finiscono gli ex comunisti capitanati dal deputato Ciccio Ferrara. Da giorni, pare, la pattuglia ex vendoliana bussa alle porte di Nico Stumpo bersaniano e da sempre “macchina organizzativa” dei partiti di sinistra – per trattare un ingresso vantaggioso in Liberi e Uguali: cinque posti sicuri, è la richiesta. A beneficiare del salvacondotto dovrebbero essere lo stesso Ferrara e i parlamentari Filiberto Zaratti, Giovanna Martelli, Michele Piras. Tra i nomi da garantire ci sarebbe anche Massimiliano Smeriglio, vice presidente della Regione Lazio, che però non ha ancora sciolto le riserve sul da farsi. Alle prossime Regionali, infatti, il vice di Zingaretti potrebbe decidere di seguire la linea dei colleghi lombardi e presentare una lista d’ispirazione pisapiana, “Insieme per il Lazio”, a sostegno del governatore uscente. Il vertice di Liberi e Uguali per ora fa spallucce, non c’è spazio per così tanti nuovi arrivi, a meno che non se la sentano di concorrere nei collegi uninominali, dove sarà complicatissimo per i seguaci di Grasso ottenere seggi. L’affanno per il riposizionamento è appena cominciato, ma già qualcuno mettere in conto il rischio concreto di restare senza cadrega al prossimo giro.