È presumibile che Giuseppe Conte riesca nei prossimi giorni a bonificare il terreno dalle mine “spionistiche” e sul ruolo dei Servizi che gli vengono lanciate da più parti, anche sotto forma di fuoco amico. Se così accadrà, risalterà ancor più il ruolo centrale che il presidente del Consiglio si è guadagnato nello scenario politico- istituzionale. Di fatto, e per motivi vari, il capo del governo è diventato il più solido e anzi addirittura l’unico gancio a cui appendere il pencolante quadro del sistema- Italia.

Una situazione che bene esprime la problematicità in cui versa il Paese e che si è caricata di sembianze gradualmente sempre più paradossali. Conte, infatti, per sua iniziativa e magari anche su sollecitazione dei colli più alti della Capitale, ha progressivamente assunto il profilo di premier super partes, disancorato dalle logiche e dagli interessi di partito. Una posizione mediana che serve sia a lui che ai partner di maggioranza: è utile per fargli svolgere un decisivo compito di mediazione tra due forze politiche che fino a ieri si accapigliavano e ora sono obbligate ad andare a braccetto.

L’accentuazione del paradosso sta nel fatto che una simile collocazione è al tempo stesso un elemento di forza e di debolezza. Di forza per i motivi suddetti; di debolezza perché se davvero l’inquilino di palazzo Chigi naviga in solitaria, nel momento delle difficoltà rischia di non trovare nessuno pronto a sostenerlo. Il mediatore infatti può riuscire nel suo compito solo se è dotato di una grande forza. Allo stato, la forza di Conte sta nel fatto che guida un governo nato per disinnescare la mina Salvini e il ricorso alle urne. Tuttavia nel momento in cui o l’anti- salvinismo diventa collante annacquato oppure gli ostacoli sul percorso dell’azione di governo si fanno macigni, il pericolo è che il gancio sia divelto dal muro dov’è attaccato sotto la spinta divaricante delle convenienze di chi fino a quel momento l’ha sostenuto. Non è un problema che attiene all’irruenza di Renzi, alle incursioni di Di Maio o alla malmostosità del Pd. Piuttosto è una questione di tenuta complessiva dell’equilibrio nato all’indomani della crisi provocata dal leader del Carroccio. Senza contare che “tecnicizzarsi” per un presidente del Consiglio non sempre è operazione redditizia. L’ombra di Mario Monti incombe. Senza che l’annesso laticlavio sia scontato.