Come commenta Fausto Bertinotti la lettera della presidente del Consiglio al Corriere?

Francamente mi sembra una lettera astuta, ma che resta lontano dallo spirito dell’antifascismo e da ciò che sarebbe necessario dire per celebrare adeguatamente il 25 aprile. Basta guardare al mancato uso della parola “partigiano”. Il 25 aprile è la festa della Liberazione, che è stata realizzata dalla Resistenza per ciò che riguarda la vicenda interna alla guerra civile italiana e che ha visto protagonisti partigiani. Lei non riesce nemmeno a pronunciare questa parola e lo fa citando un’altra persona ( Paola Del Din, ndr), peraltro medaglia d’oro della Resistenza.

Pensa quindi che l’attuale governo non si sia ancora liberato del passato?

Penso che Meloni non voglia quasi accettare la presenza storica dei partigiani, quando invece basta andare nelle valli della resistenza per caprine il valore. C’è una distanza proprio culturale, più che politica, che passa per il rifiuto di dichiararsi antifascista, lei e il suo governo. E questo rende la presidente del Consiglio estranea allo spirito della Resistenza, e quindi della Liberazione. L’atteggiamento è quello di chi commenta da fuori, non di chi partecipa da dentro. Lei non si sente erede della Resistenza e dello spirito antifascista e questo è un peso grande per la nostra Repubblica.

Il centrosinistra ha citato il discorso di Mattarella come “risposta” alla lettera di Meloni. Crede anche lei che ci sia un collegamento?

Sono due testi diversissimi e non sono paragonabili. Il discorso di Mattarella è interno allo spirito del 25 aprile e quindi nel campo dell’antifascismo. Ma non è una risposta a Meloni. Perché mai il capo dello Stato dovrebbe mettersi a rispondere a un leader politico? Semmai bisognerebbe capire quali rapporti ci sono tra le due figure, ma questo è un altro tema.

Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ieri era a Praga e la sua visita è stata criticata dall’Anpi. Come giudica il suo operato?

La mia posizione è riassunta in un appello che ho firmato qualche tempo fa e che rimane valido. Le prese di posizione del presidente del Senato, a partire da quella su via Rasella, sono secondo me incompatibili con il ruolo di seconda carica di uno Stato derivato dall’antifascismo e quindi richiederebbero un gesto da parte sua riassumibile nelle dimissioni. Ma penso che serva anche un gesto politico e per questo ho chiesto e chiedo ai parlamentari del campo antifascista di uscire dall’aula ogni volta che La Russa presiede.

Secondo un sondaggio circa metà degli italiani crede nel pericolo di un ritorno del fascismo. Lo crede anche lei?

Prenderei questo sentimento come un tema di riflessione. Se una parte così importante del paese teme un ritorno del fascismo vuol dire che qualcosa non funziona negli ingranaggi politico- culturali della Repubblica. Non penso che ci sia un pericolo di ritorno del fascismo ma credo che siamo dentro a un tentativo ambizioso della destra di cancellare l’attualità dell’antifascismo. E quindi di percorrere la strada che potremmo chiamare dell’a- fascismo, nel cui campo si collocano alcune posizioni di esponenti di destra appena citate. Non c’è l’obiettivo di ricostruire il fascismo ma di demolire l’antifascismo. Che è un’operazione ambiziosa perché significa abbattere l’unica religione civile del nostro paese e la madre di tutte le possibili riforme sociali e civili. L’antifascismo è un’attualità necessaria per la ripresa di un discorso riformatore.

Anche le parole di Gianfranco Fini hanno scatenato un putiferio a destra, con tanto di accuse da parte di alcuni esponenti di Fdi. Che ne pensa?

Le parole di Fini sono importanti perché intervengono in quel campo. Dette da me sarebbero una banalità, dette da Fini sono importanti perché ha detto una cosa intelligente. Cioè che sarebbe necessario alla destra proclamarsi antifascista, se vuole essere una destra con un’idea di futuro. È proprio questo il problema che si pone di fronte alla presidente del Consiglio e che lei ha svicolato. Gli attacchi degli esponente di Fdi a Fini sono volgarità che si ripercuotono in chi le usa.

Cosa è cambiato da quando Berlusconi celebrò il 25 aprile a Onna?

Che questo governo di destra segna la fine del dopoguerra italiano. È la prima volta che c’è un governo dichiaratamente di destra. I governi degli anni ‘ 50 che la sinistra dichiarava giustamente reazionari avevano almeno il pudore di dichiararsi di centro. Ma un conto è l’opposizione al governo della destra, un altro conto è il campo culturale e civile che chiede che viva la cultura dell’antifascismo, fondamento della costituzione repubblicana. Vale sempre il grande appello di Piero Calamandrei ai giovani, citato da Mattarella. Quello è il punto cruciale. I nostri padri e i nostri nonni, sono in quel discorso. E sono gli stessi che la presidente del Consiglio evita persino di nominare.

Se, come ha detto, l’obiettivo di questo governo è demolire l’antifascismo, come si può impedirlo?

Occorre tornare alle radici dei valori della Resistenza e dell’antifascismo e bisogna cercare di farli riavere nell’attualità. È un grande compito che dovrebbe riguardare non solo la politica ma anche l’intellettualità italiana. I giovani dovrebbero essere i primi destinatari di questo messaggio. Io appartengo alla generazione della “maglietta a strisce” che nel ’ 60 scoprì la politica in una mobilitazione generale per impedire che a Genova si facesse il congresso del Msi. Vorrei ricordare che quell’insurrezione popolare, perché di questo si trattò, che impedì quel congresso, era guidata da Sandro Pertini.

Cioè occorrono anche oggi delle insurrezioni simili?

Oggi la rivolta con tutta probabilità può scaturire da altri terreni di scontro, e penso alla Francia. Sull’antifascismo il tema non è quello della rivolta ma di una riscossa civile e culturale. E nelle manifestazioni di oggi ( ieri, ndr) ne ho visti i fermenti.