Quando a sera è salito a Palazzo Chigi da Renzi, per la seconda volta nella stessa giornata, quello di Paolo Gentiloni nel toto- nomi per la guida del nuovo governo è salito in modo dirompente al primo posto. Tanto più mentre si stavano facendo sempre più fitte le voci di un incarico addirittura per domani, domenica, a fronte della drammatica urgenza della ricapitalizzazione di Mps. A meno di ripensamenti, dati però come molto improbabili, del premier dimissionario, ancora in carica per la normale amministrazione, quindi potrebbe essere l’attuale ministro degli Esteri il nuovo premier di un governo che Renzi vuole sia definito a termine. Erede della famiglia dei conti Gentiloni Silverij, quella del Patto per l’ingresso dei cattolici in politica, l’attuale ministro degli Esteri, che guidò il ministero delle Telecomunicazioni con il governo Prodi dal 2006 al 2008, pur essendo un fondatore del Partito Democratico non è mai stato un antiberlusconiano a prescindere. Vanta ottimi rapporti con Gianni Letta. E mai da lui sono uscite parole contro il Cav. Anche se Forza Italia conferma il no e poi no ad appoggi esterni, ora la sua opposizione già annunciata a Mattarella come “ responsabile”, potrebbe accentuare ancora di più questa tendenza, certamente con il primo obiettivo di ottenere una legge elettorale in senso proporzionale. Ma questa è materia di cui oggi Silvio Berlu- sconi, tornato sulla scena alla grande, riaffermando la sua centralità con il referendum, probabilmente esporrà al Capo dello Stato sul Colle dove è atteso alle 16, con i capigruppo Brunetta e Romani. Quanto al Pd ( atteso al Colle dopo Berlusconi, guidato da Lorenzo Guerini e Matteo Orfini con i capigruppo Rosato e Zanda) che, con Matteo Renzi segretario, ha sempre in mano il boccino dei giochi, se Gentiloni, come sembra sarà, resta però un rebus non piccolo, anzi grande come una casa, e cioè quello della data del voto.

Ma più che per tutto il Pd, ormai spaccato in tre, e sembra riunito solo dal nome di Gentiloni, al quale neppure la minoranza fa opposizione, il rebus esiste per Matteo Renzi e la maggioranza del partito a lui fedele. Renzi, come oggi probabilmente dirà il vicesegretario plenipotenziario Guerini al Capo dello Stato, è quindi disposto a mandare alla guida di un governo a termine un suo fedelissimo come Gentiloni ( secondo i maliziosi Gentiloni è affidabile non solo per il tratto signorile, ma soprattutto perché a differenza di Dario Franceschini non ha truppe in Parlamento) a patto però che si vada al voto il prima possibile. Dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum. Secondo i renziani la soluzione migliore sarebbe andare alle urne tra la fine di marzo e l’inizio di aprile in modo di poter arrivare con un vero Renzi “ bis”, pienamente legittimato stavolta dalle urne, al G7 di Taormina. Ma al Colle, dove tengono molto alla stabilità del Paese, guarderebbero con un po’ di preoccupazione a questa road map fatta tutta di corsa visto che bisogna uniformare la legge elettorale per Camera e Senato, dopo il parere della Consulta atteso per il 24 gennaio. Mentre dicono che a Renzi andrebbe bene anche un Ita-licum solo un po’ ritoccato, ma sempre con carattere maggioritario.

E dentro il Pd l’area Franceschini e quella dei “ Giovani Turchi” più vicina al ministro della Giustizia Orlando non vedono di buon occhio questa accelerazione, ma preferirebbero le urne in estate o in autunno. D’altro canto Renzi però sa bene che, se la durata del nuovo governo si allunga troppo, il rischio è che si interrompa agli occhi del Paese il suo storytelling/ 2: quello della rivincita con le elezioni. Di Gentiloni si fida, dicono, più che di Delrio, considerato vicino anche a Franceschini, ma evidentemente il premier dimissionario e i suoi temono che poi in Parlamento si possano mettere in moto una serie di spinte e controspinte per allungare la legislatura il più possibile. E nel partito la minoranza più grande - quella di Franceshini e Orlando - potrebbe rialzare la testa, Franceschini evidentemente all’indirizzo dei renziani ha ironizzato anche ieri: « Dopo aver chiuso l’accordo con Arcore ora mi appresto a farlo con Grillo e con i leghisti » . Orlando, molto vicino a Giorgio Napolitano, ha già bocciato le elezioni a breve, invece prima ha smentito: « Niente fronde a Renzi che è il nostro punto di riferimento » . Ma poi ha annunciato anche che nel Pd bisognerà discutere. E, comunque, avverte il ministro della Giustizia: « Questa legislatura si è chiusa con il referendum » . Parole quest’ultime che ovviamente sono in sintonia con Renzi. Che bisogna andare « a votare il prima possibile, dopo un governo con il quale fare una nuova legge elettorale, se prima non si è riusciti a fare un esecutivo di responsabilità con tutti » , lo dice anche il leader dei Moderati, alleati del Pd, Giacomo Portas, dopo esser salito al Colle per le consultazioni. C’è chi dice che per tutta la giornata di ieri, proprio perché il suo assillo è andare alle urne il prima possibile, per capitalizzare il 40 per cento di Sì ottenuto al referendum, Renzi sia stato preso a un certo punto anche dal desiderio di tornare lui e farsi rinviare alle Camere, proprio per vigilare in prima persona dalla tolda di comando di Palazzo Chigi sul fatto che il brodo non si allunghi, portando addirittura il governo al 2018. Cosa che non dispiacerebbe certo a Berlusconi se non sarà arrivata prima la sentenza da Strasburgo che lo potrebbe rendere di nuovo eleggibile. Intanto, ieri sera era già toto- nomi anche per il governo a guida Gentiloni. Ci potrebbero essere new entry come Roberto Giachetti, sodale del ministro degli Esteri fin dai tempi in cui era il braccio destro di Francesco Rutelli sindaco di Roma. Renzi dovrebbe lasciare lì il fedelissimo, espressione del renzismo puro, Luca Lotti, che a quel punto diventerebbe la garanzia numero uno per andare a votare il prima possibile. Ma i bene informati dicono che Delrio ( e forse lo stesso Gentiloni) non sarebbe proprio felicissimi di questa permanenza di Lotti, che sarebbe vissuto come il supercontrollore, visto anche che potrebbero essergli dati maggiori poteri, o una sorta di commissario.

Ma su Lotti Renzi non sembra affatto intenzionato a cedere. Chi viene data in uscita sarebbe il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini. E con lei in pericolo Beatrice Lorenzin con Marianna Madia. All’Interno sembra inamovibile Angelino Alfano. Mentre chi sembra proprio tramontare dalla compagine governativa è Maria Elena Boschi, ovvero la “ madrina” della riforma costituzionale bocciata. Quanto infine a Berlusconi, dentro Forza Italia, pur ribadendo il fermo no a sostegni al nuovo governo, già si vagheggia: « Certo, se il nuovo governo, in un patto notarile, desse parere favorevole al via libera all’eleggibilità da Strasburgo e se ci fosse una legge proporzionale senza preferenze, un giorno un appoggio esterno potrebbe anche esserci. Ma qui stiamo parlando di un sogno » .

PAOLA SACCHI