«Un generale, c’è solo un generale!» grida il pubblico del teatro Gioiello di Torino quando Giuseppe Cruciani caccia dal palco in malo modo una lunare attivista di “Ultima generazione” per annunciare l’arrivo in sala di Roberto Vannacci. Come una rockstar d’altri tempi l’autore di Il mondo al contrario si tuffa nella folla che lo accoglie in delirio. Accade da mesi ovunque vada, da Castelfranco veneto a Lamezia Terme, da Viterbo a Cremona: la sua crociata contro il politicamente corretto sarà anche grottesca ma raccoglie consensi.

E non ci vuole una sfera di cristallo per capire che l’otto e nove giugno prenderà una valanga di voti, è lui il coniglio uscito dal cilindro leghista per invertire il crepuscolo di un partito cannibalizzato dall’opa ostile di Giorgia Meloni. Negli ultimi mesi Vannacci ci ha regalato perle di rara scorrettezza, gaffe memorabili, i gay che «non sono normali» e che con i loro baci schioccati per strada creano «sconcerto», le femministe «moderne fattucchiere», la pallavolista Paola Egonu che «non ha tratti somatici italiani», i disabili che dovrebbero frequentare «classi separate», il diritto all’aborto che promette verrà «sabotato» e via discorrendo.

Con picchi di comicità involontaria, come quando ha confessato a Un giorno da pecora di avere corteggiato una persona transessuale in una discoteca, si chiamava Valentina ed era convinto che fosse una donna, praticamente una versione ligure de L’avventura con il travestito di Franco Califano. Oppure quando nel metrò di Parigi sfiorò le mani di un nero per capire se fossero «più rugose delle nostre». Lo erano. Insomma, una commedia all’italiana, una farsa d’altri tempi, un cinepanettone in mostrine, altro che allarme neofascismo come va berciando una sinistra capace solo di tirargli la volata. Perché come dice giustamente la folla che lo ama e lo osanna in Italia «c’è solo un generale», Roberto Vannacci, il nostro De Gaulle.