Giuseppe Lauricella è un avvocato e deputato del Pd. È siciliano ed è «stufo di assistere alla disperazione dei titolari di tante imprese piccole e medio piccole che in tutta Italia sono colpite dal furto di rame: portano via i cavi, all'improvviso manca l'energia elettrica, quindi l'acqua, e la produzione deve fermarsi». Visto «l'allarme sociale sempre più diffuso», del quale spesso vengono incolpati i rom, Lauricella ha firmato una proposta di legge per introdurre «Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di furto di materiale appartenente a infrastrutture destinate all'erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o altri servizi pubblici».Ieri la proposta è andata in discussione nell'aula di Montecitorio, e punta dunque a individuare come reato autonomo il «furto di rame» e altro materiale utilizzato per cavi elettrici o telefonici. Lo fa con un testo ridotto all'essenziale: due articoli specificati in una manciata di commi. La nuova ipotesi verrebbe dunque punita con una pena minima di un solo anno ma con 6 anni di massima. E l'articolo del codice penale che regola l'associazione a delinquere, il 416, cambia con l'arrivo di un comma specificamente destinato a questo tipo di furto, con pene da 3 a 8 anni. «Va preso atto di quanto ci riferisce il ministero dell'Interno attraverso l'attività della Polizia di Stato: il traffico di materiale ricavato dai cavi rubati ha una dimensione ormai internazionale, non siamo più di fronte alla piccola ricettazione. Attorno al rame c'è un giro d'affari impensabile».Le interruzioni di servizio ammontano ormai a «milioni di minuti di blocco» solo per l'Enel, spiega il parlamentare. Non c'è dubbio che il danno per aziende e collettività sia rilevante. Ma come spiega Lauricella, «l'attuale disciplina si limita a prevedere aggravanti sul reato generico di furto, e questa impostazione andava corretta anche perché non è adeguata all'allarme sociale generato dal fenomeno».In pratica è necessario «dare un segnale di attenzione nei confronti di chi viene colpito da queste vicende». Affiora l'altro aspetto della questione: la legge penale intesa come veicolo per far percepire la presenza dello Stato. Come se si desse per scontato che il sistema di prevenzione non sia in grado di soddisfare le attese dei cittadini. E col rischio anzi di deresponsabilizzare l'apparato della Pubblica sicurezza. Che, come per l'omicidio stradale, potrebbe «accontentarsi» del messaggio di «attenzione» e trascurare l'attività investigativa. «La prevenzione deve esserci», dice il deputato,. Ma si rischia di vederla sempre più sostituita dalla moltiplicazione delle leggi.