Era o no una minaccia di elezioni anticipate nel caso il No perda soprattutto di misura? Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd e plenipotenziario renziano, dopo aver detto l'altro ieri che si potrebbe andare a votare anche nell'estate del 2017 dopo aver fatto velocemente una legge elettorale perché Renzi non è interessato a vivacchiare, ha poi tentato di smentire. Così: «Le mie dichiarazioni sono state forzate. Ho solo detto che con la vittoria del No ci sarebbe più instabilità».Un'instabilità nella quale però a questo punto gli italiani potrebbero vedere soprattutto il voto anticipato. Il messaggio è stato comunque lanciato. Non gradito affatto sembra al presidente Mattarella, da qui il tentativo di smorzare i toni da parte di Guerini, che da ex forlaniano è difficile immaginare che si lasci andare. Ma al di là degli scenari futuri la minaccia di elezioni anticipate viene interpretata soprattutto come un ultimo estremo tentativo da parte del segretario-premier di mobilitare di più anche tutto il suo partito per il Sì, soprattutto quei consiglieri regionali non entusiasti di vedersi con la riforma costituzionale equiparare gli stipendi ai sindaci dei capoluoghi di Regione.La minoranza dem reagisce commentando così la mossa nelle conversazioni private: «Quelle di Renzi sono armi spuntate». Ufficialmente interviene per la minoranza del Pd Roberto Speranza che prospetta proprio l'esatto contrario di quello che il premier vuole: «Resti al governo e poi ci vuole un' alternativa a lui al congresso del partito». Ma Renzi sa bene che anche in caso di sconfitta, soprattutto se di misura, magari al 48 per cento, sarebbe sempre lui l'uomo forte al quale il Quirinale si rivolgerebbe magari per un Renzi-bis.Ed elezioni anticipate o meno, congresso permettendo, sarebbe sempre lui a dare le carte soprattutto nella compilazione delle liste elettorali dalle quali escluderebbe gli avversari interni. Quindi, Renzi vincente anche da perdente? Potrebbe essere. Ma per trovare la quadra a questo paradosso, bisogna tener conto anche dell'altra faccia della medaglia e cioè di quanto peserebbe comunque la sconfitta sulla sua immagine e sulla sua capacità di tenuta del Pd, dove non c'è solo la ribelle minoranza interna di Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema, ma convivono anche altre anime e correnti, finora disciplinatissime con il segretario, come l'area dem del potente Dario Franceschini e quella dei giovani turchi del presidente del Pd Matteo Orfini, la potente corrente del ministro Maurizio Martina, che il giorno dopo la vittoria del No potrebbero rialzare la testa e presentare il loro conto. Soprattutto unendosi in Senato, dove i numeri sono decisivi - sulla modifica della legge elettorale che Renzi vuole proporzionalizzare il meno possibile per non snaturare il suo storytelling. E a Palazzo Madama decisivi sono anche i voti di Berlusconi che a Matrix li ha rifatti pesare: «Se vince il No, pronto a sedermi a un tavolo con Renzi per cambiare la legge elettorale e fare la riforma costituzionale. Lo ho detto a Mattarella: con il No non cambierebbe nulla».Franceschini, intanto, un ex dc di lungo corso che ha a suo vantaggio un ottimo rapporto da sempre con il capo dello Stato e che dispone di una nutrita pattuglia di parlamentari (secondo le geografie delle ultime elezioni addirittura superiori a quelle di Renzi, dal momento che in cambio dell'appoggio alla segreteria, Bersani gli dette mano libera nel 2013 sulle candidature e franceschiniano è lo stesso capogruppo alla Camera Ettore Rosato, vicino a Dario anche il capogruppo al Senato Luigi Zanda) smentisce come sempre i retroscena secondo i quali sarebbe lui uno dei potenziali premier in caso di sconfitta del Sì, ribadisce il suo appoggio a Renzi, dice di «non pentirsi di averlo sostenuto» ma rimarca anche il fatto che non gli piace essere definito "renziano" perché un politico non può essere aggettivato. E questo ci sta. Ma soprattutto avverte che la vittoria del No «sarebbe una sconfitta politica».Sostiene che Renzi dovrebbe restare comunque al suo posto da premier, ma sottolineando, appunto, che sarebbe «una sconfitta politica», fa risaltare di fatto che a Palazzo Chigi resterebbe un premier indebolito. Esattamente il contrario di quello che vuole Renzi. Il punto è, come dice un esponente dell'area governativa centrista a Il Dubbio, che se Renzi vincerà «avrà fatto un capolavoro, ma se perderà non avrà più molto appeal stare con un perdente». Sembra di risentire il cinico commento dell'Avvocato Agnelli su Berlusconi nel '94: «Se vince, vinciamo tutti, se perde, perde solo lui». E vinse Berlusconi.