La conferenza stampa allestita in fretta e furia su insistenza dei capigruppo Barelli e Ronzulli per dimostrare che Forza Italia è viva e lotta insieme a noi si riduce al racconto di una telefonata mattutina al futuro presidente Tajani di Marina Berlusconi, colloquio che la stessa primogenita «ha autorizzato a rendere pubblico». In poche parole vengono dette le due cose essenziali, il resto è contorno e anche piuttosto insipido. La primogenita, dopo aver ringraziato per l'affetto dimostrato nei confronti del padre, «ribadisce, nel rispetto dei ruoli, stima, affetto e vicinanza della famiglia a una delle sue maggiori realizzazioni, cioè Forza Italia». Significa che la famiglia, cioè l'azienda, non abbandonerà il partito dalle casse dissestate al suo destino, non per il momento almeno. Significa anche che però nessun Berlusconi prenderà le redini del partito in nome della dinastia. Il nome Berlusconi gli azzurri dovranno accontentarsi di sfoggiarlo sul simbolo, e s'impegnano a farlo finché il partito avrà vita. Non è detto che la netta distinzione dei ruoli escluda la candidatura di Paolo Berlusconi per il seggio vacante che fu di suo fratello. L'ipotesi c'è anche se nessuna decisione è stata presa ma se anche Paolo scegliesse di sedersi al posto di Silvio a palazzo Madama il rapporto tra la famiglia e il partito non cambierebbe.
Volendo si può leggere nel messaggio di Marina Berlusconi anche un terzo segnale: l'averlo indirizzato a Tajani equivale a una conferma del suo ruolo al vertice, già stabilito dal patriarca. Qui però, almeno in prima battuta, non c'erano dubbi di sorta. Nessuno, in questo momento, sarebbe così pazzo da revocare in dubbio l'incoronazione decisa dal fondatore aprendo una guerra dalla quale nessuno uscirebbe vincitore e tutti spianati. Ma si tratta di una nomina pro- tempore e per quando si arriverà al congresso le cose potrebbero filare meno lisce.
Già ma quando si arriverà al congresso che dovrebbe decidere in via definitiva chi sostituirà l'insostituibile? Qui tutto diventa molto più nebbioso. Giovedì il Comitato di presidenza si riunirà e convocherà il Consiglio nazionale, al quale spetterà l'elezione del presidente fino al congresso. Ma ci vorrà del tempo per il Consiglio nazionale, probabilmente entro l’estate, e ce ne vorrà di molto di più per il Congresso, quasi certamente dopo le Europee, tra l'estate e l'autunno prossimi.
Sull'eventuale ruolo di Marta Fascina, se mai ne avrà uno, Tajani glissa trincerandosi dietro l'enunciazione dell'ovvio: «È una deputata ed era la moglie di Berlusconi». Insomma è un punto interrogativo al momento senza neppure un accenno di risposta.
Non è un passaggio qualsiasi questo del congresso di Fi e non è neppure detto che ci si arriverà davvero. I tempi biblici non depongono a favore, almeno. Eppure si tratta di uno snodo decisivo. In 29 anni di vita Fi non ha mai celebrato un vero congresso. L'imbarazzo dei vertici orfani del capo è reale: non sanno come fare, non hanno alcuna esperienza alle spalle, è un territorio vergine. Quelli che venivano definiti congressi erano spettacoli nei quali il mattatore occupava il palco a ripetizione, allestiti, a volte con gran sfarzo, a puro uso della propaganda. Lo stato comatoso nel quale versa oggi il partito che per vent'anni era stato il centro della politica italiana deriva proprio dal suo essere stato sempre e solo emanazione del suo fondatore, leader e in sostanza padrone.
All'origine del paradosso dell'Italia, Paese con una quantità di elettori probabilmente maggioritaria centrista ma senza un partito di centro neppure se sbilanciato a destra, deriva dall'anomalia di Forza Italia. Il partito di Silvio era delegato naturale a occupare quella postazione ma almeno da 10 anni a questa parte, dall'inizio del declino della leadership personale di Berlusconi, era anche impossibilitato a farlo. A Fi si presenta ora l'ultima occasione per invertire la rotta ed evitare la probabilissima scomparsa. Si presenta nelle circostanze più difficili e i bookmaker darebbero le possibilità di farcela dieci a uno. Ma per quanto difficilissima da cogliersi l'occasione c'è e non dipende tanto da chi vincerà il primo e forse ultimo congresso azzurro ma dalla capacità di questo gruppo dirigente di farlo davvero.