Visto quel curriculum-rosario di mega incarichi che ha, compreso quello di direttore generale di Confindustria, uno se lo potrebbe immaginare come il manager che viene dal freddo dei conti e delle strategie aziendali. Ma Parisi, l'uomo al quale Silvio Berlusconi ha affidato la missione di una Forza Italia 2.0 che sia il baricentro moderato di un'area liberal popolare, insomma un centrodestra rivisto e corretto, nacque come «il compagno Stefano». Perché così, come nel Pci, ci si chiamava nel Psi di Bettino Craxi. E di Gianni De Michelis, di cui «il compagno Stefano» è stato stretto collaboratore, seguendolo in tutti gli incarichi governativi.Parisi con Renato Brunetta, direttore della segreteria tecnica di "Gianni", ministro del Lavoro, fu uno dei giovani talenti, che "Gianni", come racconta a Il Dubbio l'ex dirigente socialista e giornalista Biagio Marzo, «scovò, da gran visionario qual era, Gianni era infatti presbite, vedeva bene solo da lontano». E quindi: «Cercava tutti i cervelli emergenti a livello internazionale». De Michelis, prosegue Marzo, «rimase colpito da Parisi, per la sua capacità di riflettere sui problemi come quelli emergenti dell'immigrazione, che secondo Gianni non era solo un fenomeno di dannati della terra». Insomma, il nuovo politico-manager di FI era «il perfetto modello della cultura riformista di estrazione socialista, ma di quel riformismo occidentalizzato da Gianni, che fece una discontinuità con Turati e i fratelli Rosselli», chiosa Marzo.Non è un caso che "il compagno Stefano", fresco di laurea in Economia e commercio a Roma, contribuì con Brunetta, che ne fu anche lo scrittore materiale, a fare quel decreto di S. Valentino, voluto da Craxi e da De Michelis che nel 1984 salvò l'Italia dall'inflazione. Ma lui aveva iniziato già negli anni '70 a fare politica, mentre studiava all'Università la Sapienza, dove insegnava Federico Caffè e lì respirò "aria keynesiana", ricorda Marzo. Ed è alla Sapienza e nel mondo socialista che conobbe anche Mario Draghi, allora allievo di Caffè. Sottolinea Marzo: «Ma attenzione, non si trattava di cultura da Stato assistenziale, su Keynes si fa sempre molta confusione: era solo liberale. Quanto a Stefano, lui rappresenta la vera cultura riformista del cambiamento che il Psi di Craxi rappresentò». Riformista, "il compagno Stefano" lo era già da dirigente della Federazione giovanile socialista di Roma, negli anni dell'Università. Racconta a Il Dubbio Donato Robilotta, altro esponente di punta del Psi craxiano, anche lui cresciuto alla scuola di De Michelis: «Stefano, venendo da una buona famiglia, vestiva anche allora, come adesso. Sempre ordinato, giacca e cravatta. Io che frequentavo con lui la Sapienza, ero invece più scalmanato, diciamo che ero più dell'area movimentista della Fgsi, difendevo quelli di Lotta continua, mi piacevano le occupazioni e cose così. Del resto abitavo alla Casa dello studente. Stefano mi frenava sempre e mi diceva: non fare stupidaggini... ». Poi, Robilotta ha un flash che suona quasi premonitore nella vita di Parisi: «Vuol sapere dove aveva sede la Fgsi che Stefano dirigeva? A piazza Grazioli, a Roma, in un Palazzo vicino a quello di Silvio Berlusconi... quando si dice il destino». Sorride Robilotta e i ricordi si affollanno: «Noi venivano con Gianni dalla sinistra lombardiana del Psi, ma poi Bettino ci conquistò e Gianni, con tutta la sua autonomia, rimase fino all'ultimo fedele e leale con Craxi per il quale Stefano aveva grande ammirazione e profondo rispetto... ».Ma Parisi, seppur in giacca e cravatta, anche nei lontani anni della Fgsi romana, «era già da allora una persona non solo garbata, riflessiva e gentile, ma soprattutto alla mano, ecco questo mix per me è stato decisivo per fargli prendere tutti quei voti a Milano», spiega Robilotta. Marzo, che fu anche presidente della Bicamerale per le Partecipazioni statali, ricorda le idee di cambiamento ma nella moderazione di Parisi: «Stefano non è mai stato legato al mondo cinico e baro della politica romana. Lui è stato sempre legato a quel mondo che Pietro Nenni chiamava degli ultimi. Mi ricordo l'eloquio gradevole, non diceva mai banalità. Voleva il cambiamento in continuazione». Insomma, per l'ex dirigente socialista, «Parisi non è uno statico, io lo definirei anzi l'anti-Gattopardo. Per esempio sulle Partecipazioni statali, lui non era nella logica di socializzare le perdite e privatizzare i profitti... ». Poi, i legami con il mondo israeliano. La moglie di Parisi è ebrea, ma, dice Marzo, «come tutti i socialisti e in particolare il socialismo milanese aveva rapporti stretti con la famiglia ebraica. Nenni contribuì molto a questa tradizione».A Parisi Marzo ha mandato un sms in cui gli ha scritto: «Stefano, la cosa più importante è la politica. Primum vivere, diceva Bettino». Congratulazioni anche da Robilotta che con Il Dubbio già prevede: «Con Brunetta hanno lavorato d'amore e d'accordo. Io capisco le posizioni di Renato non proprio entusiaste della centralità che Stefano ha acquisito, ma poi vedrete che gli passa. Renato è fatto così... ». In fondo furono loro due i ragazzi "terribili" del decreto di S. Valentino, che fecero infuriare il Pci e vincere Craxi al referendum del 1984.