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GIUSEPPE CONTE PRESIDENTE M5S
Se c’è un merito che va riconosciuto alla segretaria del Pd Elly Schlein, è quello di essere riuscita a unire tutte le opposizioni (ad eccezione di Azione di Carlo Calenda), in un unico grande contenitore in vista delle prossime Regionali. «Non accadeva da vent’anni», ha scandito trionfante la leader dem dal palco della Festa dell’Unità di Reggio Emilia, e non le so può dar torto. Ma Schlein ha rilanciato, mettendo in guardia la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sul fatto che il centrosinistra sarà unito «anche alle prossime elezioni politiche», dove sempre a detta della segretaria Pd batterà il centrodestra.
Messa così ci sarebbero tutti i presupposti perché le Regionali d’autunno costituiscano il trampolino di lancio verso le Politiche del 2027, ma c’è un’incognita, anzi due. La prima è costituita da quei “temi” di cui tanto si parla e che, in concreto, in quelle divergenze presenti soprattutto in politica estera tra Pd e M5S e ancora più tra i centristi di Iv e Più Europa e la “sinistra” dello schieramento, cioè pentastellati e Avs.
I leader buttano la palla in tribuna, insistono nel dire che «le differenze saranno superate» e che occorre concentrarsi su ciò che unisce piuttosto su ciò che divide, e dunque giù a parlare di sanità, scuola, lavoro. Ma qui arriva la seconda incognita, e cioè la lotta per la leadership. Che in qualunque coalizione che si rispetti si gioca semplicemente a suon di voti, e dunque il leader del partito che prende un voto in più automaticamente il “candidato” ( ci perdoneranno i costituzionalisti) presidente del Consiglio dello schieramento.
Ma il caso vuole alla guida del partito che al momento è secondo in questa corsa all’ultimo voto, e cioè il M5S, sia quel Giuseppe Conte che si è già seduto per ben due volte a palazzo Chigi, la seconda tra l’altro sostenuto in primo luogo dal Pd. E che dunque difficilmente lascerà il posto di “front runner” a Elly Schlein, che come ruolo di maggior prestigio ricoperto fin qui annovera nel curriculum la vicepresidenza dell’Emilia- Romagna.
E qui si arriva al momento in cui le due incognite si intrecciano, perché la partita della leadership nello scorso weekend si è giocata proprio sulla politica estera. In particolare è risaltato all’occhio ( o meglio, alle orecchie) quel che è accaduto alla festa del Fatto quotidiano a Roma, quando la leader dem, accolta tiepidamen-te, si è lasciata andare, ahilei, a commenti piuttosto netti sulla guerra in Ucraina. Un paese, ha detto, «che sta subendo un’aggressione criminale, e qui siamo tutti d’accordo». La sottolineatura si è resa necessaria perché in realtà Schlein sa benissimo che non sono «tutti d’accordo», e infatti sono piovuti fischi e schiamazzi. Una situazione surreale, con Schlein subito a correggersi, «evidentemente non siamo tutti d’accordo» e che ha portato a scomodarsi perfino Marco Travaglio, il quale da padrone di casa si è dovuto prodigare per calmare le acque e permettere alla leader dem di proseguire il ragionamento.
Il tutto mentre poche ore prima, a Reggio Emilia, Giuseppe Conte veniva praticamente osannato dalla platea dem, accolto con una standing ovation e applausi con tanto di cognome ritmato. Insomma, una disparità di trattamento evidente, che ha reso ancor più chiara la differenza nella stima che rispettivamente, la base M5S ha per la leader dem e quella Pd ha per l’ex presidente del Consiglio. «Credo che si stia continuando a rimandare un chiarimento con Conte, e questa è una responsabilità di chi guida il Partito Democratico» - ha detto ieri Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo e pezzo da novanta dei riformisti dem - Io non penso, l’ho detto tante volte, che ripetere la formula “testardamente unitari” o ripetere la parola unità, basti a realizzare l’unità stessa. È possibile tenere insieme cose diverse. È possibile dare al centrosinistra un progetto politico credibile e vincente ma questo passa per un chiarimento che si continua colpevolmente a rimandare». e in riferimento a quanto accaduto alla festa del Fatto, Picierno ha aggiunto che «se un partito di centrosinistra non sa riconoscere la resistenza di un popolo che resiste a un esercito oppressore di stampo imperialista, come è quello di Putin, allora non può dirsi una coalizione di sinistra: questi sono i fondamentali».
Un richiamo condiviso dalla minoranza interna, basti vedere i tre voti contrari espressi da Lorenzo Guerini, Marianna Madia e Lia Quartapelle, sulle mozioni di M5S e Avs contro il riarmo, sulle quali il partito aveva indicato l’astensione.