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IMAGOECONOMICA
Con i corridoi di Palazzo chiusi per ferie, spifferi, rumors o semplici boutade sono affidati prevalentemente alle chat su whatsapp o telegram, o magari a una telefonata old style. E nelle ultime ore, sembra che le conversazioni tra peones e addetti non abbiano di certo tralasciato la coda di polemiche politiche che ha accompagnato la chiusura delle olimpiadi parigine.
D'altra parte, i giochi transalpini sono stati quelli forse più gravidi di spunti buoni ad alimentare la contrapposizione politica fin dall'inizio, con l'estetica queer della cerimonia d'apertura contestata dal centrodestra, per poi passare al tormentone del presunto sesso maschile della pugile algerina Imane Khelif. Alla fine della fiera, però, almeno per quanto riguarda le vicende di casa nostra, al di là dei giochi di posizionamento politico e della propaganda, è venuta fuori la vera posta in gioco alla base di tutte le polemiche, e cioè il governo dello sport italiano, leggasi la presidenza del Coni.
La grandi manovre per mettere le mani sul Foro Italico sono in atto già da tempo, ma se finora ha prevalso la dialettica tra l'attuale dirigenza del Comitato (Giovanni Malagò) e il centrodestra, tra non molto emergeranno gli attriti all'interno della stessa maggioranza di governo, dove i vertici dello sport fanno gola almeno quanto quelli della Rai. E così, si diceva, nelle chat si scherza sugli “esodati del mandato”, sul fatto cioè che la poltrona di Malagò sia sempre più traballante, e che per ora il nome partorito dai boatos per farlo sloggiare sia quello dell'attuale governatore del Veneto Luca Zaia.
In sostanza la sfida, al momento, sarebbe tra colui il quale si trova impossibilitato a rimanere a Venezia a causa del raggiungimento del tetto dei mandati (due da quando è entrata in vigore la legge) e chi dovrebbe andarsene perché a suo tempo il terzo mandato riuscì ad ottenerlo ma ne vorrebbe un quarto previa apposita legge. Ora, appare quanto meno arduo che la maggioranza parlamentare, dopo aver negato la deroga a un proprio esponente come Zaia (con una drammatica spaccatura interna al centrodestra) possa accordare a una figura distante politicamente come Malagò un quarto mandato. Se si aggiunge poi che nel centrodestra, con una posizione di assoluto prestigio, dimora il più grande rivale di Malagò (il capogruppo di Fi alla Camera Paolo Barelli, ventennale presidente della Federazione nuoto), il destino del pariolino più famoso d'Italia appare segnato.
Il numero uno del Coni, non a caso, ha alzato il tono della polemica contro il governo, quando quest'ultimo, attraverso il ministro dello Sport Andrea Abodi, gli ha detto a chiare lettere che il suo ciclo è finito. Malagò ha già fatto sapere di non volersi arrendere, e in questa fase sta facendo leva sul fatto che il suo mandato scadrà a maggio del 2025, quasi a ridosso delle olimpiadi invernali che si terranno a Milano e Cortina, e che questo a suo avviso non sarebbe appropriato. La presunta candidatura di Zaia si spiegherebbe, dunque, anche con l'intenzione di premiare il lavoro organizzativo fatto dal governatore per i prossimi giochi. Ma il presidente del Coni non ha mancato nemmeno di far presente il consenso di cui gode nelle federazioni, che dovranno eleggere il nuovo presidente a scrutinio segreto. Nel caso di qualcuno paracadutato dalla politica, secondo Malagò si potrebbe andare incontro a una paralisi. Anche questo appare difficile, visto che il centrodestra ha approvato una legge che consente ai presidenti di federazione, praticamente, di non avere più limiti di mandati, a differenza del presidente del Comitato, e che ha ampiamente soddisfatto leader di federazioni che in alcuni casi sono in sella da più di 30 anni.
Partita chiusa a favore di Zaia? Assolutamente no. Anzi, pochissimi hanno preso per seria la candidatura di quest'ultimo al vertice dello sport italiano. Qui la trama si infittisce, perché alcuni pensano che si tratterebbe di una soluzione che farebbe piacere a Matteo Salvini, che si libererebbe di una figura ingombrante all'interno del Carroccio (d'altra parte avrebbe già tentato di piazzarlo a Strasburgo e ora, pare, alla guida del comune di Venezia) ma i bene informati sanno che FdI è determinata a far valere la storica connessione della destra con la politica sportiva, mettendo in quella casella un suo uomo. Che affiancherebbe così Marco Mezzaroma, presidente di Sport e Salute (ex-Coni servizi), vicino alla premier Giorgia Meloni, cognato del senatore di Fi e presidente della Lazio calcio Claudio Lotito e attualmente in una coabitazione alla francese con Malagò.
Sarà un caso, ma FdI nelle ultime ore ha incrementato gli attacchi alla Lega, nella persona del Generale Vannacci, per le nuove frasi ambigue sull'italianità della pallavolista Paola Egonu, e anche se Zaia non è né Salvini né Vannacci, è difficile pensare che il partito della premier, anche sull'onda dell'entusiasmo popolare suscitato dalle imprese sportive olimpiche, voglia lasciare il Coni al Carroccio. C'è però un altro problema: per arrivare ad un accordo eventuale con Fi, Fratelli d'Italia deve risolvere la grana Rampelli. Il vicepresidente della Camera, infatti, è determinato a defenestrare Barelli dalla Fin, e fa talmente sul serio che ha presentato ricorso per poter concorrere all'elezione. Si tratta di un fronte imprevisto che forse non fa piacere a Meloni, così come spesso le prese di posizioni di Rampelli rappresentano l'unico controcanto alla sua leadership.
Ma la Lega, a sua volta, non vede con entusiasmo i movimenti di Abodi. Lo ha fatto capire quando il ministro (in collaborazione con Lotito) ha lavorato per dare maggior potere ai club di serie A all'interno della Figc attraverso l'emendamento Mulè (poi riformulato), mentre invece via Bellerio ha promosso sia l'azionariato popolare per le società calcistiche che l'istituzione di un organismo di controllo di nomina governativa sui loro bilanci, che ha fatto andare su tutte le furie Malagò tanto da fargli invocare il soccorso di Fifa e Uefa.
Sempre sul fronte calcistico, c’è da ricordare il veto di Salvini alle norme del decreto crescita che prevedevano sgravi fiscali per le società di calcio per gli acquisti di giocatori stranieri, voluto dal patron della Lazio. Nel sudoku delle nomine attese per la rentrée, insomma, sarebbe un errore omettere di considerare quello che sta accadendo sottotraccia nella governance dello sport italiano.