È probabile che la presidente del Consiglio sia andata a dormire, nella notte di capodanno, in stato d’animo sinceramente sollevato. Per l’approvazione in tempo debito sia della legge di bilancio che del dl Rave, certo, ma anche per il discorso di fine anno di Sergio Mattarella, il primo del suo secondo mandato presidenziale. Non si trattava di un passaggio secondario. Nell’Italia di oggi il peso del capo dello Stato è determinante e non può permettersi di ignorarlo o sottovalutarlo neppure una premier forte di una solida maggioranza parlamentare e al cui partito i sondaggi attribuiscono stabilmente il 30 per cento circa dei voti.

Quella maggioranza è però traversata da disagi sotterranei sempre minacciosi, il consenso degli italiani è tra i più volatili, la situazione del Paese resta molto difficile. Se il presidente avesse posto nel suo discorso paletti invalicabili il problema sarebbe stato di prima grandezza. Non lo ha fatto e la prima ad accorgersene è stata certamente la più diretta interessata.

Al primo posto nella sua agenda, a quanto si evince dalla conferenza stampa fiume di fine anno, c'è la riforma istituzionale, il presidenzialismo. È uno dei pochi punti sui quali il capo dello Stato ha voluto mettere un punto fermo ricordando che la Costituzione resta la bussola e che rispettarla è “dovere primario” di tutti. Molto difficilmente, però, si può intendere questo passaggio come una sorta di veto contro la modifica della seconda parte della Carta, quella sull'architettura costituzionale della Repubblica, ed è forse significativo che Mattarella non abbia scelto di segnalare, come aveva fatto in altre occasioni, la necessità di restituire al Parlamento il suo ruolo. All’indomani di una serie di forzature forse inevitabili ma poderose molti si aspettavano qualche parola che non è però arrivata. In compenso il presidente ha sottolineato che il rispetto della Carta, evidentemente incluso l’art. 138, è anche il suo «dovere primario». Su quel fronte Giorgia non incontrerà ostacoli.

Sulla riforma della giustizia, considerata dalla premier un’altra priorità assoluta, il presidente ha sorvolato. Sul fisco si è limitato a un passaggio veloce, che certamente implica un monito ma non particolarmente severo: «La Repubblica è nel senso civico di chi paga le imposte». L'intera prima parte del discorso, in compenso, sigla un intenzionale e marcato riconoscimento della piena legittimità repubblicana del governo guidato da un partito che si potrebbe chiamare «Rifondazione Missina». Sulla guerra l'assonanza tra il Quirinale e palazzo Chigi è completa.

Mattarella è stato davvero incisivo solo due fronti. Il primo è quello del Covid, non a caso uno dei più insistiti. È evidente l’invito rivolto al governo a non minimizzare, a non sottovalutare il rischio ma anche a non dimenticare la necessità di ricostruire un Servizio Sanitario Nazionale efficiente.

Più spinoso il secondo passaggio realmente critico, quello sulla necessità di combattere le diseguaglianze anche geografiche. Può sembrare una banalità retorica ma, con l’autonomia differenziata al primo posto nell’agenda della Lega, non lo è affatto.

Su quel fronte il custode della Carta ha fatto capire che non sarà distratto né di manica larga e non certo a caso ha ricordato che rimuovere «gli ostacoli di ordine sociale ed economico» all'eguaglianza «senza distinzioni» è precisa prescrizione costituzionale. Dunque, anche nel rigoroso rispetto delle aree di competenza del quale Mattarella ha fatto la propria bussola sin dal primo giorno, la questione lo riguarda direttamente e ci ha tenuto a farlo sapere.

Si tratta senza dubbio di un passaggio particolarmente delicato per la premier perché su quel terreno Salvini non può permettersi di arretrare senza perdere ogni sostegno da parte delle Regioni del nord.

L'aspetto più importante però è che nel complesso il presidente ha voluto dare un messaggio di estremo ottimismo e fiducia. Come ha detto chiaramente nella sua conferenza stampa, nulla in questo momento è più utile e anzi necessario per la ex underdog di palazzo Chigi.