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Se Novembre mette i brividi al Palazzo perchè è il mese che tutto può far saltare, Settembre è quello nel quale i guastatori piazzano le mine nei settori ritenuti strategici e gli artificieri si dannano l’anima per scovarle e disinnescarle. In ordine cronologico il secondo ovviamente precede il primo, e tuttavia finisce per essere altrettanto importante proprio perché l’esito novembrino in gran parte dipende dal tipo di lavoro fatto nelle settimane che cominciano subito dopo Ferragosto. A partire dal fondamentale tassello della legge di Stabilità che il governo deve presentare entro il 15 ottobre e la cui predisposizione tradizionalmente inizia appunto nella seconda metà di agosto, per strutturarsi poi a settembre. Per non parlare della riforma elettorale, fantasma che carsicamente sparisce e poi resuscita. L’elenco sarebbe lungo, ma questi due esempio possono già bastare.
Dunque alla ripresa dei lavori parlamentari si ricomincerà a parlare di alleanze e coalizioni ( il dibattito infuria già adesso sotto gli ombrelloni, ma pour causeè inevitabilmente sudaticcio) le quali, cacciate in malo modo dalla porta come sempre rientrano - e alla grande dalla finestra. Così nel centrodestra Berlusconi e Salvini, solleticati da recenti e ottimi sondaggi che in caso di corsa accoppiata li danno vincenti, tornano a parlarsi direttamente e non più attraverso dichiarazioni e interviste. Ciascuno non rinunciando alla propria specifica fisionomia - il Carroccio votando no alla missione in Libia; l’ex Cav rilasciando copiose interviste per dire che la signora Merkel è l’unico statista europeo - e allo stesso tempo intrecciando i fili di una intesta che ha un obiettivo scoperto e fin troppo ghiotto per essere trascurato: il successo elettorale che può lambire il 40 per cento del premio di maggioranza.
Qualcosa del genere succede anche a sinistra. Con Matteo Renzi che calca quante più spiagge può ( «A Roma non capiscono, la gente è con me» ) sicuro così di nutrire nel modo più consono la sua conosciuta bulimia leaderistica; e Pisapia che, comprensibilmente a malincuore, lascia gli abbracci alla Boschi per concentrarsi nelle telefonate con Roberto Speranza. Obbiettivo: una kermesse a inizio autunnno per definitivamente battezzare una formazione politica che segni «discontinuità» verso Renzi ( Boldrini dixit) e faccia da tetto per i tanti che Matteo non lo sopportano ma non accettano il ruolo di spettatori fermi in attesa di sapere chi li governerà. Quanto al M5S, prepara - sempre a settembre, naturalmente - l’appuntamento che deve incoronare Luigi Di Maio candidato premier e costruirgli ai fianchi i guardrail che lo condurranno al trionfo nelle urne. Forse. Si capisce che il filo che tiene uniti tessuti che un’occhiata anche superficiale rivela abbondantemente sfrangiati è la convinzione che la legge elettorale è un’Araba fenice, che sarà giocoforza presentarsi incollati in listoni o comunque stretti in un accordo sufficientemente plausibile, e che in virtù del sistema proporzionale sarà un partita giocata all’insegna del tutti contro tutti.
Finito? Macché, manca la cosa più importante. E cioè che non sarà una partita conclusa, bensì semplicemente il primo tempo di un match che ha una caratteristica strabiliante: la prima fase si svolge obbedendo ad alcuni meccanismi; la seconda invece si gioca con regole completamente diverse, quasi opposte. Una sorta di biathlon - gara olimpica invernale che unisce due discipline che non hanno nulla in comune: sci di fondo e tiro con la carabina - che obbliga i partecipanti a coltivare abilità opposte e complementari. Questa, almeno, è la versione bon ton. Più brutalmente si potrebbe accettabilmente sostenere che nella preparazione e svolgimento della campagna elettorale partiti e forze politiche, tutte, reciteranno un copione che poi appena chiuse le urne più o meno getteranno nella spazzatura. Si presenteranno ai cittadini in un modo e poi - non per cattiveria: semplicemente è la politica 2.0 - una volta stabiliti i rispettivi rapporti di forza, agiranno seguendo traiettorie totalmente diverse. In altri termini Berlusconi e Renzi, ciascuno per la propria parte, si sentiranno liberi di abbandonare i partener di comizi e apparizioni tv per intavolare trattative che potranno anche portare a convergenze no limits, perfino di governo; e qualcosa di simile potrebbe accadere tra Lega e Cinquestelle. Questo perchè le coalizioni cui si accennava all’inizio non sono cementate da una simile visione dell’Italia e delle cose da fare bensì dalla convenienza a stare insieme per guadagnare il miglior bottino di seggi. Poi si vedrà. E’ lo scenario che più inquieta chi ritiene prioritario il binomio governabilità e stabilità. E che di conseguenza si batte - ma sarebbe meglio dire: non ha del tutto perso le speranze per una riforma elettorale che quei due traguardi renderebbe più facili raggiungere. Ma presumibilmente sono fuori tempo massimo.