Ma che succede: perchè tanto silenzio? In Gran Bretagna hanno votato per decidere se rimanere o no nella Ue; per scongiurare la Brexit sono scesi in campo i maggiori leader mondiali; fiumi di inchiostro sono stati versati per implorare la vittoria del “remain”; centinaia di appelli si sono affastellati affichè la Manica non diventi un altro muro e che succede da noi? Che le forze fino a ieri fieramente antieuropeiste - a cominciare da Cinquestelle e Lega - stanno zitte e mute, taciturne come non mai. Nessuna intemerata; vaffa ringoiati; felpe “no euro” riposte nel cassetto, quello giù in fondo che non si usa mai. Vai, per dire, sul sito dei Cinquestelle e trovi non Grillo con lo sguardo spiritato che attacca i banchieri o prende a male parole la Merkel bensì una bandierina inglese appaiata a quella ufficiale della Ue e la dicitura “Brexit, dieci cose per capire meglio”. Ma cosa c’è da capire? Non era il garante del MoVimento (sempre Beppe l’ex comico) che esattamente due anni fa andava a Bruxelles a inveire contro l’euro che «non si può riformare dal suo interno e va invece combattuto dall’esterno, abbandonando questa camicia di forza anti-democratica»? E non sono stati i pentastellati l’8 giugno del 2015 a depositare al Senato le casse con le duecentomila firme di cittadini che chiedevano il referendum per l’abolizione della moneta unica, che dell’edificio comunitartio è l’architrave assoluta? Per non parlare delle falangi padane, tenutarie del patrimonio ideologico delle “piccole Patrie” e dunque risolutamente contrarie alla costruzione della casa comune europea. Oltre che della ripartizione delle quote latte, ovviamente. Salvini tace forse perché occupato a mettere gli spilloni sulla foto di Bossi. Vero è che sul sito della Lega un richiamo No Euro effettivamente c’è. Ma lì sotto, in basso a sinistra. Come le felpe del cassetto di cui sopra. Ci sarebbe da tener conto anche di FdI: però del partito della Meloni, dopo la batosta romana, non c’è traccia. E non solo riguardo il tema europeo.Insomma quello che doveva essere lo snodo decisivo della battaglia su uno dei bastioni programmatici più forti delle cosiddette forze anti-sistema, sfila come i sottopancia delle notizie dei tg: uno sguardo frettoloso e addio. Come mai? Eppure non è che gli squilli di tromba sono mancati. Nè le frasi storiche che vanno bene per i titoli dei giornali. Basta ricordare la road map stilata in pompa magna da Nigel Farage, capo dell’Ukip, il partito inglese più accanitamente favorevole alla Brexit e gemellato a Strasburgo con i M5S: Grillo, «un patriota vero», sbanca a Roma e di lì si impossessa dell’Italia; il “Leave” vince a Londra e scardina l’intelaiatura europea, il No al referendum costituzionale manda a casa Renzi, e da quel momento in poi è tutta discesa.Invece no. Perché? Ovviamente tanti si rifugeranno nel classico “aspettiamo i risultati” per poi, eventualmente esultare. O nelle conferenze stampa camomilla come quella di Di Battista: «Che bello ci sia un referendum come quello inglese». Tuttavia la sordina preelettorale, a suo modo, ha un che di clamoroso: e non può non avere una dimesione politica. Le motivazioni possono essere tante e diverse. Però è difficile sfuggire alla sensazione che non sia così conveniente cavalcare le posizioni estreme nel momento in cui il governo è in difficoltà ed il testimone può essere consegnato, anche solo in parte, alle forze che ieri erano solo ed unicamente opposizione e oggi acquistano un profilo di governo. Naturalmente il discorso vale in primo luogo per i Cinquestelle. Sono loro ad aver in certa misura scippato la bandiera anti-euro al Carroccio che l’aveva inalberata in anteprima d’intesa con il lepenismo d’Oltralpe. Ma sono proprio i grillini ad aver vinto le elezioni amministrative trionfando nella Capitale e, a Torino, mandando a casa un monumento della sinistra vecchia e nuova come Piero Fassino. «Ora siamo pronti per il governo», ha spiegato non a caso Beppe Grillo subito dopo il voto. Aggiungendo che i giornalisti e i media in genere non hanno capito nulla del M5S fin dall’inizio «e continuano a fare domande sul nulla». Per certi versi è vero. Però alla domanda su come mai l’antieuropeismo non è più di moda e su che fine ha fatto la simbiosi con Farage, comunque i grillini dovranno rispondere: se non altro alle centinaia (o migliaia) di fan Docg che li seguono via web. Non solo: adesso dovranno spiegarlo, e bene, anche ai milioni di elettori che li hanno votati. Vero è che i romani si interrogano assai più sulle buche che sugli eurocrati e che sotto la Mole si domandano se la Fiat tornerà mai, poco interessandosi invece alle dichiarazioni di Junker. Ma la Ue comunque la rigiri non è uno scherzo: riguarda la vita di tutti. Pure Salvini a qualche interrogativo sarà obbligato a rispondere. Pure Matteo 2 (l’altro sta a palazzo Chigi) ha infatti cavalcato la battaglia anti-euro, ma visti i recenti risultati elettorali non è stato un trionfo. Ora qualcuno dice che abbassa i toni perché cerca i voti dei moderati. Ma cercare è un conto; trovare è tutt’altra storia.