Più che separati in casa, ormai Matteo Renzi e Carlo Calenda sono veri e propri avversari. I due gemelli diversi della politica italiana son durati poco in coppia: giusto il tempo di consentire a Italia viva di entrare in Parlamento superando la soglia di sbarramento e ad Azione di presentare le liste senza il faticoso rischio di raccogliere le firme. Matrimonio di interessi doveva essere e matrimonio di interessi è stato. Solo che ora i due ex coniugi si guardano in cagnesco e fuori dalle mura di casa (il gruppo parlamentare che ancora sono costretti a condividere) ognuno guarda in direzioni opposte. Forza Italia orfana di Berlusconi è l’orizzonte di Renzi, il Pd nonostante i suoi alleati quello Calenda. E anche se a parole entrambi negano i loro rispettivi progetti, affermando di voler autonomamente rappresentare l’elettorato moderato estromesso dai due poli maggiori, nei fatti Renzi e Calenda si muovono spediti verso le direzioni di marcia già impostate.

Così, se il primo occhieggia alla luce del sole con Marina Berlusconi, il secondo aderisce alle iniziative parlamentari del Pd e persino del tanto vituperato M5S. E per non farsi mancare niente, nel mentre, si insultano vicendevolmente, cimentandosi in un teatrino quotidiano a tratti tragico e a tratti esilarante.

Il gioco delle parti, però, non è fine a se stesso. Renzi e Calenda, infatti, più di altri, hanno una scadenza segnata in rosso sul calendario: le elezioni europee del 2024. È un appuntamento elettorale dirimente, al quale i due non potranno più presentarsi sotto le stesse insegne. Ognuno dovrà fare da sé, tentando di superare uno scoglio mastodontico che persino unendo le forze apparirebbe insormontabile per il fu Terzo Polo: lo sbarramento al 4 per cento. E in queste condizioni neanche un ritocco alla legge elettorale - per abbassare la soglia di un punto percentuale - garantirebbe una traversata sicura. Per il leader di Iv e quello di Azione non resta che guardarsi intorno, provando a capire se dalle navi vicine possono spuntare piccole scialuppe per non restare soli in mare aperto. Col proporzionale puro, infatti, non basterà stringere alleanze con i partiti più grossi, per superare senza patemi la soglia servirebbe proprio l’ospitalità delle organizzazioni affini.

Per garantirsi qualche scranno sicuro, in altre parole, servirebbe la disponibilità di Forza Italia da un lato e del Pd dall’altro a cedere qualche posto in lista a renziani e calendiani. Italia viva e Azione, del resto, non si sono mai cimentati con la battaglia politica per le Europee prima d’ora.

Certo, in passato Renzi e Calenda hanno fatto il loro figurone nella campagna di Bruxelles ma avevano entrambi alle spalle quella macchina ben strutturata chiamata Pd. E se l’ex premier nel 2014 porta i dem al 40 per cento, quattro anni più tardi l’ex ministro è protagonista di un capolavoro di perfidia politica. Nel 2019, infatti, Carlo Calenda, ufficialmente ancora tesserato al Partito democratico, costringe il Nazareno a inserire nel simbolo anche il marchio “Siamo europei”, l’embrione di quella che poi diventerà Azione.

La performance dell’ex socio di Renzi è da record: oltre 270mila preferenze, il più votato tra le file dem. Peccato che una volta salito sull’autobus per Bruxelles, guidato allora da Nicola Zingaretti, l’europarlamentare scenda una volta arrivato a destinazione: pochi mesi dopo nasce, per scissione, Azione.

Calenda dovrà lavorare per far dimenticare quel dispettuccio se vorrà bussare ancora alle porte della casa madre per chiedere ospitalità. Ma l’ex ministro dello Sviluppo economico non è l’unico a doversi far perdonare qualcosa per avere in cambio qualche poltrona riservata. Anche Renzi, se volesse entrare nelle grazie di Marina Berlusconi in vista delle Europee, dovrebbe superare qualche prova di lealtà.

Non basta la simpatia (che faceva breccia sul Cav) e qualche dichiarazione ammiccante, ad Arcore ancora in tanti ricordano lo sgambetto del 2015, quando l’allora premier rompe unilateralmente il patto del Nazareno, sottoscritto con Silvio Berlusconi, per eleggere Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica. Una scelta non condivisa dal Cavaliere che ora potrebbe ancora pesare sul futuro politico di Renzi e di Italia viva, il partito d’opposizione più incline al dialogo con la maggioranza.

Il tempo a disposizione da qui al prossimo treno per l’Europa comincia a scarseggiare: entro l’autunno, Renzi e Calenda dovranno decidere cosa fare da grandi.