Chi attacca chi? È la magistratura a prendere di mira il governo, come lamentano spesso gli esponenti della maggioranza, o è il governo che attenta all'autonomia del potere giudiziario, come denunciano anche più spesso i togati? La realtà è che al momento nessuna delle due parti in causa sta attaccando l'altra. Certo, il governo fa alcune leggi che vanno di traverso ai magistrati, ma gli alti lai sono quasi sempre molto esagerati e dipendono in buona misura dalla convinzione dei giudici, radicata ma priva di fondamento costituzionale, che nessuna legge in materia di giustizia dovrebbe essere varata senza il loro beneplacito.

Altrettanto certamente alcune inchieste o iscrizioni nell'albo degli indagati infastidiscono il potere politico, ma è fisiologico che succeda finché la magistratura resta, come usa in democrazia, indipendente. Ma il governo tiene serrata nel cassetto la riforma radicale che prometteva da anni, la separazione delle carriere, e la magistratura, sin qui, ha adottato comportamenti ben diversi da quelli dell'era Berlusconi.

Se però la domanda fosse “chi teme di essere attaccato da un momento all'altro?” la risposta sarebbe opposta. Bisognerebbe riconoscere che entrambi i poteri dello Stato, l'esecutivo e il giudiziario, temono davvero proprio questo.

Lo scontro in atto, innescato dalle parolette tutt'altro che dal sen fuggite del ministro Crosetto dipendono da questo. Crosetto non è Salvini. Non è abituato a spararla grossa né portato per temperamento a lanciarsi in azzardi alla cieca. Si può escludere che la denuncia di una riunione, o magari di una cena, nella quale alcuni magistrati avrebbero convenuto sull'opportunità di attaccare il governo e possibilmente sino alla spallata sia una sua invenzione. Qualcuno, probabilmente proprio un magistrato, deve averlo riferito al ministro, magari inventando tando lui oppure ingigantendo elementi reali. La reazione è stata tipica di chi sta sempre sul chi vive e l'agguato se lo aspetta davvero da un momento all'altro. Quando il ministro sostiene che il suo non fosse «un attacco» ma «una preoccupazione» non mente, anche se sarebbe probabilmente più preciso parlare di paura e non solo di preoccupazione.

Sincera o meno che fosse la fonte di Crosetto è probabile che, dall'altra parte della barricata, umori ostili al governo stiano montando davvero in una parte della magistratura. Non se ne capisce a prima vista il motivo. Proteste fragorose ma d'ordinanza a parte, sinora il governo di destra ha fatto ben poco per insidiare l'autonomia e anche il potere dei giudici e non ha pale. Il caso dei dl attuativi della riforma Cartabia di due giorni fa è esemplare.

I giudici hanno protestato come se si trattasse di un intervento significativo ma la realtà è che invece si è trattato tutt'al più di punture di spillo che depotenziano e svuotano dall'interno la riforma di Marta Cartabia che invece, pur con i suoi limiti, era una cosa seria. In tutta evidenza, poi, la premier non ha alcun intenzione di mettere mano agli interventi deflagranti promessi dalla destra non per anni ma per decenni, primo fra tutti quello che separerebbe le carriere della magistratura inquirente e di quella giudicante.

È difficile anche credere che a provocare i malumori di un potere togato che sin qui aveva rispettato, e in realtà ancora rispetta, una tregua non dichiarata ma attuata nei fatti siano gli schiamazzi alquanto sgangherati che periodicamente si levano dagli spalti della maggioranza. La molla, se davvero è scattata, è piuttosto la riforma costituzionale, il premierato.

Oggi il governo non ha la forza per provare a dare scacco matto al potere giudiziario. Un premier forte del sostegno diretto, nella Repubblica plebiscitaria a cui mira Meloni, invece quella forza la avrebbe e si sa che nessuna tregua dura mai per sempre. Anche per la parte più bellicosa della magistratura l'eventuale tentazione di evitare il rischio con una spallata preventiva sarebbe in realtà, come nel caso uguale e opposto di Crosetto, la difesa da un rischio che, né per gli uni né per gli altri, si è ancora materializzato.

La tensione che in entrambe le parti deriva da questa paura è reale. Però è difficile che finisca in un vero scontro frontale, come quelli che caratterizzarono l'era Berlusconi. Il governo non si può permettere una guerra su due fronti con di mezzo una prova come il referendum sulla riforma costituzionale, nella quale, volente o nolente, Meloni ha messo in gioco tutto. La magistratura non ha più la forza e la credibilità che le permisero nell'estate del ' 94 di respingere, con un vero e proprio pronunciamento, l'assalto del primo governo Berlusconi. È probabile quindi che governo e magistratura almeno per un bel po' siano condannati alla tregua.